Il Collezionismo e sue relazioni con la cultura di massa
a cura di Mario Mangone
Per iniziare ad attraversare i temi del collezionismo è opportuno fare i conti con le prime dinamiche di mondanizzazione e di secolarizzazione che sono intimamente connesse all'espansione delle merci e del valore simbolico, che esse assumono in rapporto all’indebolirsi del senso ultraterreno del mondo. L’individuo cerca nella vita quotidiana, e non al di là del mondo sensibile, i surrogati di ciò che le religioni ed i rituali tradizionali non erano più in grado di soddisfare interamente (Sombart,1913).
L’ipotesi di un rapporto diretto tra mondanizzazione dell’arte e strategie pubblicitarie ci aiuta a comprendere la natura del processo; infatti in tutti e due i casi siamo di fronte alle tre componenti di un fenomeno di produzione espressiva: l’autore, l’opera e il fruitore. Se nell’arte, seppure con qualche sconfinamento, prevaleva la centralità dell’opera, successivamente nella pubblicita sarebbe al contrario prevalsa la centralità del consumatore e delle sue nuove complesse relazioni con i territorio fisico ed immateriale (luogo della fruizione).
Quindi il percorso moderno dei rapporti tra comunicazione e consumo inizia già da quando la pittura sacra rinascimentale comincia a far regredire sullo sfondo le figure che rimandano alla narrazione cristiana e a mettere in primo piano la sontuosita delle vesti e delle stoffe, la varieta della scena urbana, la ricchezza delle merci, la vita quotidiana, la contemporaneita. Quando, ad esempio, il “negozio” ( macellerie o banchi di frutta), assume dignita di rappresentazione proprio con l'intento di tramandare e tradurre la scena sacra nella scena profana, dal luogo sacro al luogo urbano-pubblico, tenendo conto di contesti sociali trasformati da meccanismi e mutamenti irreversibili.
Già in quel periodo inizia un forte impulso, non solo verso la razionalizzazione dell’agire economico, ma anche verso la mondanizzazione dei contenuti estetici che provengono dalla riforma protestante. Infatti l’interesse che i pittori fiamminghi manifestano verso gli oggetti piu comuni e modesti della vita quotidiana si spiega alla luce del protestantesimo, a cui soltanto sarebbe concesso collocarsi interamente nella prosa della vita, e far valere questa prosa completamente per sé, indipendentemente da relazioni religiose, lasciandola sviluppare in illimitata liberta in una sorta di “sussidarietà estetica” dal mondo istituzionalizzato del sacro.
Quindi è proprio la pittura a documentare e interpretare lo sviluppo di dispositivi - i mercati e le fiere - fondamentali per comprendere succesiivamente il loro punto di arrivo nell’universo ottocentesco delle merci, che, in forma di “nuovo mondo” creato dall’industria e dal lavoro, verra esibito e pubblicizzato dalle grandi esposizioni universali e dai grandi magazzini, spazi genetici che integrati alla metropoli, ai suoi ingranaggi spazio-temporali, produrranno a loro volta il cinema. Catalogazione ed Archiviazione nella storia moderna della cultura di massa;
Nelle prime raffigurazioni pittoriche la scena della piazza—mercato esplode oltre i confini urbani, si colloca come festa periodica e pagana, in luoghi di incrocio “fuori le mura": la tradizione iconologica sacra si confronta con uno slittamento dei suoi soggetti verso l’ostentazione delle merci e delle relazioni, la presenza della folla, la distrazione ora centripeta ora centrifuga dei giochi e degli spettacoli che sfruttano l’occasione festiva per aggregare pubblico, imbonitori e le maschere che si sostituiscono al ruolo comunicatore di Cristo.
Conversazioni, scherzi, conflitti di ceto, autorappresentazioni simboliche, ibridazioni culturali, macchine “meravigliose” come le lanterne magiche, compongono una scena in cui i poteri della festa, del consuno e della societa si mescolano ed anzi gia mostrano di funzionare come unita d’apparato per quanto molteplici siano i suoi soggetti e le sue funzioni. Nel 1756 Giambattista Tiepolo e nel 1757 suo fratello Giandomenico che realizza Il Mondo Novo, un precoce manifesto della societa dello spettacolo, delle seduzioni dello sguardo, della fascinazione dell’immagine. E da queste curvature della prospettiva sociale della pittura che si dipana lo sviluppo dell’arte moderna e contemporanea, sino al fondamentale snodo delle avanguardie storiche e alla funzione che esse hanno assolto per rendere perfettamente attiva la macchina dell’industria culturale di massa dagli anni trenta in poi come linguaggio globale innervato nella territorialita dei consumi. Fantasmagorie vengono chiamate le applicazioni spettacolari della lanterna magica (un dispositivo, messo a punto dal gesuita Athanasius Kircher nel 1645 sulla base di forme di ricerca ibride, ai confini tra la scienza e la magia). La lanterna magica segna l’inizio di un fenomeno tipico dell’industria culturale, quello per cui un'innovazione tecnica trova solo nel consumo la sua destinazione espressiva. Assunta come strumento di predicazione religiosa — potendo spaventare e ammonire il pubblico dei credenti grazie ad effetti ottici in grado di simulare le fiamme dell’inferno o il volto della morte — la lanterna magica da “memento mori” si fa attrazione e divertimento.
Sarà poi Etienne Gaspard Robertson ad esaltare al massimo le sue possibilita di fantasmatizzazione, inaugurando con uno spettacolo pubblico tenuto nel 1798 la lunga serie di attrezzature sceniche — in particolare i panorami — destinate a meravigliare il pubblico con effetti fantastici o riproduttivi che invasero le grandi feste, le fiere e poi le esposizioni. Sono questi primi luoghi ibridi della sperimentazione immaginaria che la catena classica del collezionismo inizia a fondersi con le prime forme del mercato moderno. Sarà sicuramente azzardato ritenere ad esempio gli epigoni di questo fenomeno potremmo ritrovarlo in una pellicola di celluloide dove il cinema, può benissimo essere considerato il puro e semplice sviluppo della lanterna magica: troppi fattori tra loro distanti nel campo scientiiico, tecnico, culturale, testuale ed espressivo concorrono alla creazione del dispositivo cinematografico. Ma é invece corretto ritenere che l’insieme delle attrezzature protocinematograiiche di questo tipo — i loro repertori, i contesti e le forme del loro uso, le funzioni chiare e latenti assolte pubblicamente — siano all’origine della qualita spettacolare e fantasmatica che l’industria culturale, compreso il cinema, poi assume nel Novecento, firma massima dell'ibridazione tra immaginario e territorio, tra oggetto e memoria.
La tipologia del Museo, come prima forma istituzionale di archiviazione nella storia della cultura di massa.
Cos'è allora il Collezionismo? Come si colloca nel passaggio tra tutela e raccolta di prodotti al mercato della fantasmagoria del mercato moderno dei consumi? Come si passa dal collezionismo al mercato delle esposizioni di massa, dall'istituzione “museo” al mercato? Quindi come abbiamo già detto il collezionismo appartiene ad un profondo fenomeno storico che dal rinascimento in poi si spinge sino a fondare le condizioni di base ed oggettive, perchè possano nascere le moderne tipologie dei grandi musei ottocenteschi. Si rivolge quindi alla sfera privata, come fenomeno di massa, nel momento in cui le disponibilità materiali necessarie all'arte del collezionismo passano dai vertici del principe e successivamente dell'alto borghese al piccolo impiegato che costruisce la sua privata ed intima collezione.
La passione del collezionista è quella di riprodurre dentro lo spazio simbolico di un interno la messa in scena dell'universo. Il suo sapere consiste nell'avere un proprio atto creativo che scoglie gli oggetti da tutte le loro funzioni e i loro significati originari. All'inizio il collezionismo esprime un progetto enciclopedico. Raccoglie i prodotti dell'arte, della natura e della tecnica in un solo luogo, in una sola emblematica scena del potere, della sua estensione e della sua durata, dei suoi domini. Un potere che non sente separazione alcuna tra il luogo e l'esterno, perchè si sente proprietario di tutto e con questo spirito ritiene di raccogliere in sé ogni meraviglia del mondo preservandola dal mondo stesso.
Il valore rituale che, alla caduta dei regimi aristocratici, assume la ricchezza spirituale e materiale dei beni conservati, resi oggetto di culto da un tempo che si è mondanizzato e di meraviglia da un pubblico che vi accede per la prima volta, si trasmette al collezionismo privato. E' questa una forma specialissima di lusso borghese, poiché con l'oggetto che viene collezionato si compra e si custodisce anche un privilegio prima impossibile, quello di disporre del mondo e non appartenergli come parte. Il collezionismo privato mette in luce componenti di forte individualismo, di pulsione personale a possedere l'oggetto in modo iterattivo- simile alla coazione a ripetere che lega l'esperienza alla paura della morte- e a specchiarsi in esso come simbolo di qualcosa d'altro, come feticcio di un desiderio inattingibile.
Su questo tema e relazione esiste la possibilità, non tanto di stabilire sul piano storico la relazione collezione-museo, quanto quella forse più affascinante di Collezione-Grandi Esposizioni Universali. Quello che nella collezione e il piacere feticista del proprietario dell’opera , che in quanto tale produce il finish di quell’opera, individuando in essa il suo feticcio. Nel caso del museo non essendoci proprietà dell‘opera, ma proprieta simulata del piacere dell’opera, manca quindi del feticcio che viene ampiamente recuperato nelle Grandi Esposizioni Universali.
Il Collezionismo verso le Grandi Esposizioni Universali;
La collezione é produzione di “finish” da parte del solo proprietario. Invece la Grande Esposizione è produzione di finish da parte del pubblico collettivo. Nel caso del museo, sembra che la verità si ponga soprattutto nel rnetodo storico che ha destrutturato in quel caso l’opera da esporre, per poi presentarla dentro il contesto del museo stesso, che di per sé, pone alcuni problemi ultimativi sulla crisi dei valori oggi, sul punto terminale del processo iniziato dalI"industria culturale di massa e dalle Grandi Esposizioni Universali. Museo che è giunto probabilmente ad un momento di svolta, di inversione di tendenza dei processi di demassificazione, di abbandono della riproducibilita tecnica benjaminiana e invece di progressiva assunzione di innovazioni legate all'elettronica.
Alla fine, nel tentativo di ricomporre quello che e stato infranto, nella spaccatura tra Museo e Grandi Esposizioni, o tra Storia dell’Arte e Grandi Esposizioni e da queste ultime fino alla odierna societa dei consumi, è opportuno che si proponga nell'ambito di questo veloce itinerario storico-critico, il recupero della parola, il parlare dell’oggetto artistico. Nel recupero della parola sul dire l'’oggetto artistico” è evidente che vi é da un lato tutta la tradizione critica, ma anche operativa e professionale degli operatori culturali, che da anni continuano a parlare intorno alla difficolta di dire il fondamento dell’arte, e dall’altro vi è l’uscire dalla dimernsione di massa, il recupero della parola come necessariamente legata ad un corpo, all’isteria di un corpo ad un nuovo tipo di legami che non ha piu a che vedere con le macchine, su cui si fondavano le Grandi Esposizioni Universali, ma ha invece a che vedere con l'elettronica, che é lo strumento duttile di un’economia del “corpo” e non più un’economia delle masse.
Infatti è con la nascita delle città industrializzate che le Esposizioni Universali divengono lo spazio in cui si integrano la sacralità originaria del collezionismo e il simbolismo di massa della merce come, appunto, feticcio, oggetto libidico. Una soluzione che è agli antipodi del Museo, il quale invece inserisce l'accumulo degli oggetti, la loro memoria e il loro senso in un paradigma di tipo scolastico e diffusivo. La distanza tra grandi esposizioni e museo diviene la radice dei conflitti che segneranno sempre la differenza tra culture di mercato e le culture istituzionali, tra l'investimento libidico dei consumi e la natura intellettiva e autoritaria della scuola, tra la televisione che diverte e la televisione che educa.
Il termine greco museion era usato nell'antichità per definire le grandi biblioteche, luogo di produzione del sapere sotto la protezione delle Muse.
Nel Rinascimento l'interesse per il mondo classico conduce alla concezione moderna del museo come luogo di raccolta di prodotti culturali delle generazioni e civiltà precedenti. Ma il Cinquecento, accanto all'estensione della prospettiva temporale verso il passato, è stato anche il secolo delle grandi scoperte e spedizioni geografiche e dunque della dilatazione dell'orizzonte di esperienze spaziali.
Così nelle Wunderkammern o camere delle meraviglie cinque-seicentesche, cominciano ad essere collezionati anche oggetti esotici provenienti da mondi sconosciuti.
Saranno allora poi le Grandi Esposizioni del XIX secolo a gestire un nuovo tipo di alterità, non più solo temporale e spaziale, ma sociale, ossia l'avvento di un pubblico di massa, mediante forme di accesso più prossime alla dimensione della merce (acquisto e fruizione di prodotti liberamente scelti in momenti di tempi discrezionali) che a quella sacrale dell'arte (alla cui socializzazione provvedevano i musei nel modo del dono e dell'offerta munifica).
E' allora opportuno definire le strette relazioni tra Collezione-Museo e Collezione-Esposizione, alla prima accreditare il ruolo di trasferimento di un valore, un significato della memoria dal passato all'organizzazione istituzionale del Museo. Alla seconda relazione affidare il trapasso dal rapporto privato con il bene alla cultura dell'organizzazione industriale di massa, dove la tecnica si evolve sotto la spinta del capitale e conseguentemente della nascita dei consumi di massa.
In questo luogo problematico emergono domande radicali a cui ancora si sta cercando di dare risposte e che fanno riferimento a titolo d'esempio su quali relazioni nascono tra tradizione-memoria ed innovazione-moderno ed in queste due parallele invenzioni nel mondo delle relazioni tra bene artistico-culturale e sua conservazione-restauro? Come quest'ultimi diventano luoghi di in-formazione e conseguentemente di consumo? Su quali elementi avviene questa trasformazione? Qual'è il passaggio dell'oggetto singolo all'amore del collezionista, quali elementi entrano in gioco? Qual'è la relazione tra singola persona ed oggetto della collezione? Chi è ancora il collezionista? Verso quali oggetti si rivolge? Cosa cerca nell'oggetto?
Visto che le prime forme di collezionismo nascono nel periodo del Rinascimento è possibile che nel collezionismo si nascondono le prime forme di “modernità”, e conseguentemente le prime forme di dissoluzione tra l'oggetto e la sua nproprietà, per aprirsi verso una condivisione molto più complessa con il proprio territorio? Quindi nuove relazioni spazio temporali. Bisogno di possedere il tempo concentrato nell'oggetto. Ora qual'è il salto tra collezione e consumo dell'arte? Tra estetica del singolo prodotto e consumo di massa? Verso un Nuovo Rinascimento Globale? Partendo da quella origine del “potere sulle cose” possiamo ri-definire il possesso sulle cose del mondo? A quali condizioni ed in quali forme?
Nelle attuali metamorfosi della vita sociale e dei suoi corpi, troviamo una qualita tecnologica in grado di renderci piu esperti anche nella ricostruzione dei processi storici a cui apparteniamo e da cui solo ora forse ci stiamo emancipando. La dimensione individuata nel fortunato seppure tardo uso del termine “industria culturale” sta per lasciare il posto ad una diversa dimensione socio-antropologica, in cui il bene di consumo è la tecnologia in quanto tale. Una stessa tecnologia per qualsiasi bisogno. Grazie all’innovazione informatica, alla natura dei linguaggi digitali, la tecnologia diventa tutto, cioe ogni soggetto e oggetto possibile, desiderabile, vivibile.
Dove appunto il cyberspazio si apre a forme di conflitto radicalmente diverse rispetto a quelle della civilta industriale. Tuttavia ripete una vicenda già nota: l’apertura dei territori necessari ad una esperienza umana rinnovata. Cosi e stato per il Nuovo Mondo.
La scoperta dell’America ha il carattere di un’invenzione spazio-temporale. Come la ruota o la nave. Ma anche come la stampa. Cosi e stato per lo sfondamento dei limiti spazio-temporali del mondo fisico operato dai media di massa. Queste vaste operazioni territoriali in progressiva costruzione di luoghi da abitare, si sono andate evolvendo dallo spazio fisico della terra a quello immateriale dello schermo e delle comunicazioni via etere. La coerenza occidentale dei processi di territorializzazione e di de-territorializzazione dell’esperienza e sempre stata fondata sulla costruzione simbolica della realtà. Dal rapporto produttivo tra Europa e America alla nascita del cinema e della televisione. I paradigmi dell’industria culturale sono intimamente connessi a forme di scoperta, conquista e invenzione di nuovi spazi di vita e di colonizzazione. Solo alla fine di questa nostra storia, quando dovremo affrontare le modalità e il significato della fuoriuscita dallo spazio dei linguaggi industriali e di massa, sarà più giusto azzardare la definizione del passaggio epocale a cui assistiamo facendo ricorso ad un termine più adatto alla qualità del presente, non più industria culturale, espressione “classica”, proposta da Horkheimer e Adorno nel saggio omonimo (1994) come “spirito del tempo", ma tecnologie culturali. Questa definizione esprime anche il senso riposto nel transito dai mass media ai personal media e rende ragione del superamento postmoderno delle qualità sociali e formali che hanno caratterizzato il mondo industriale “...In ballo non ci sono tecnicalità: ci siamo noi, il nostro tempo, le nostre letture, i nostri gusti, i nostri acquisti (l'economia della conoscenza)...” come dice su La Repubblica, Vittorio Zambardino di Giovedì 9 Luglio 2009 – Chi conquisterà i nostri computer?
Ecco lo scenario entro cui collocare il tema della Collezione, del Museo, delle Grandi Esposizioni Universali e della nascita del Mercato con la conseguente “Cultura di massa”.