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Intervista al Prof. Massimo Lo CICERO (by Mario Mangone)

Prof. Massimo Lo CICERO

 Università degli Studi di Roma “Tor Vergata)

16 Ottobre 2008.Napoli

 

 

 

Cominciamo a capire come l’Europa percepisce se stessa, nel senso di quale  relazione  stabilisce  tra la sua struttura  di città,  la sua rete di città e l’economia che attraverso quella rete di città, vive.  Nelle ultime elaborazioni dell’ESPON, che è un servizio di analisi e documentazione della Commissione Europea, appare questa rappresentazione del pentagono europeo. Il pentagono in effetti è una specie di farfalla, perchè è rappresentato dal triangolo che mette insieme Londra,Parigi, Milano con l’Austria, la Germania e con Francoforte, che è il nocciolo duro del cuore europeo, con l’altro triangolo che raccoglie tutte le capitali baltiche, che stanno ovviamente sul mare interno di questa grande sub-area baltica, che è rappresentata dai paesi del Nord Est.  diciamo dell’Europa.

Questo è l’interpretazione che dà l’Europa di se stessa, è il cuore dell’Europa,  quindi  Milano rappresenta   l’ultima città europea e questa circostanza viene poi rafforzata dal fatto che, in questo caso ci sono  dei pentagrammi (vedi rappresentazione), le zone rosse sono quelle in cui ci sono città che sono almeno a  quarantacinque minuti dalla città da cui si parte,  e questo si vede chiaramente, come la parte rossa più evidenziata a partire dalla Germania e, per quanto riguarda l’Italia, il rosso  riguarda prevalentemente una direttrice adriatica, perché infatti la Calabria diventa ble, un posto dove diventa difficile trovare città così vicine, con una distanza tempo inferiore ai quarantacinque minuti. Se poi vediamo come l’Europa  percepisce i deboli,  cioè guardiamo una mappa delle “politiche coesione”, come dicono gli europei, cioè le politiche che riguardano  il  2007-2013, noi vediamo che l’Europa percepisce i deboli, che in questo caso sono le zone rosse  che devono convergere verso un più alto tenore di vita e per questo vengono aiutate nel ciclo 2007-2013 e ricevono dei sussidi per crescer più degli altri e sono chiaramente la parte del mezzogiorno da Napoli in giù, la Grecia ed i paesi che confinano con la ex- Germania dell’Est, cosiddetti paesi dell’allargamento, sono i paesi della Spagna e del Portogallo. Se torniamo là  da dove eravamo partiti, si capisce che l’Europa considera una economia assestata, quella  che gira intorno al suo pentagono e quindi quell’economia che appunto esclude il Sud della Spagna,  la Grecia  e l’Italia. Che cosa vuol dire questo, nel rapporto che ristabilisce oggi  di fronte alla scommessa di costruire un’Europa che sia anche una parte importante del sistema-mondo? Tutto quello che abbiamo detto sino ad ora è la base da cui dobbiamo partire per  capire in che direzione possiamo contribuire per costruire questo sistema-mondo.

 

 

Abbiamo visto come l’Europa pensa se stessa, ora vediamo come l’Italia è, ed assumiamo un indicatore molto rozzo, la presenza di medie imprese di successo, quindi non delle grandi star o delle partite iva, nemmeno del  troppo piccolo o del troppo grande. Una grande banca italiana, la Mediobanca, censisce circa 10.000 imprese, per cercare di capire dove sta questa armatura di impresa media italiana, considerando questa armatura delle   imprese medie italiane, una ragionevole approssimazione di quello che potremmo dire è lo scheletro della produzione in Italia.  In questo caso, con le palline gialle (vedi rappresentazione) sono le medie imprese di successo nate negli ultimi dieci anni, mentre nell’altra con le palline rosse sono, dopo dieci anni di rilevazione, le medie imprese di successo che esistono, considerando i dieci anni, che vanno dal 1995 al 2005, quindi un arco abbastanza interessante. Che succede? Si vede chiaramente il grosso di questo scheletro, tanto da non lasciare quasi più spazio alla carne, se questa rappresentazione deve essere considerato veramente uno scheletro, è la pianura padana. Poi c’è una coda che scende e che arriva attenuandosi sempre più fino a Bari e Brindisi e c’è un grappolo importante nella zona di Napoli ed un grappolino un po’ meno importante nella zona di Catania. Questo che cosa vuol dire? Vuol dire che, in qualche modo, esiste una presenza industriale significativa, nonostante tutto quello che si dica, sia nella città di Napoli, sia nel tratto che collega l’Abruzzo fino a Brindisi fino a Lecce. Noi che domanda dobbiamo porci se l’obiettivo è quello di costruire un rapporto con la parte meridionale dell’Europa, con Milano in particolar modo, che sarebbe questo vertice meridionale del pentagono europeo? La domanda che dobbiamo porci e se conviene risalire dal lato dell’adriatico o da quello del tirreno e se dobbiamo ripartire da Napoli, che resta comunque la terza grande area metropolitana italiana, quindi non stiamo parlando di una cosa che non significhi niente, significa quattro milioni di persone, una grande storia, come si dice un grande passato dietro alle spalle  ed un futuro più incerto, forse nel suo prossimo domani, però certamente noi dobbiamo porci il problema di capire se, e che cosa sia possibile usare,  e chi lega con il resto del mondo ed in modo specifico con la punta estrema meridionale dell’Europa, che è Milano, appartenente alla grande civiltà europea che ci sovrasta in alto.

 

Ora esiste paradossalmente, ma non è tanto un paradosso per quello che dirò alla fine, una ragione per considerare percorribile un collegamento che passi attraverso Napoli, Genova e Torino, cioè esiste qualcosa che lega ancora oggi, queste città apparentemente lontane tra di loro. Questo qualcosa è fatto di tre ingredienti basici, a cui aggiungeremo un quarto.

Il primo è l’industria aereospaziale, quest’ultima è un’industria che si trova in Piemonte, a Genova (stiamo parlando del gruppo Finmeccanica e dell’Ansaldo o meglio di tutte quelle aziende Finmeccanica che lega diverse aziende   alla ricerca ed alla produzione di attrezzature aereospaziali ), tutta questa presenza non è solo presente a Torino ed a Genova, ma è presente anche a Napoli, quest’ultima è ancora una capitale industriale nel settore aerospaziale e lo è per certi versi anche una parte della Puglia quindi, come dire, esiste una “virgola” che lega Torino, Napoli ed il brindisino, passando ovviamente per Genova che di questa industria e del gruppo Ansaldo è stato un ospite storico.

La seconda cosa che lega queste tre strane sorti, cioè quella che lega Napoli alla sorte del Piemonte è l’industria dell’automobile, che troviamo a Melfi, quindi sul confine tra la Basilicata e la Puglia, sta in Campania a Pomigliano  e nelle vicinanze di Avellino, l’industria dell’automobile sta a Torino e si   trova  anche a Cassino, cioè esiste sicuramente un legame che passa per l’industria dell’automobile.

Esiste un terzo legame industriale in cui certamente la Campania come il Piemonte è una regione di eccellenza per la produzione di vino, cioè in uno dei campi dove l’agroalimentare è cresciuto molto, le griffe campane non hanno niente da invidiare  alle griffe piemontesi.

Quindi c’è sia una tradizione industriale  di produzione che lega queste tre realtà, ma c’è anche una tradizione finanziaria che  li lega, perché il SanPaolo, che è una delle più grandi banche italiane, è la principale banca della Campania, è la principale banca a Genova, è la principale banca a Torino.

Esiste quindi una ragione per considerare Napoli, la Campania ed il Nord-Ovest, come qualcosa che ha un minimo comune denominatore, perché questo qualcosa è anche la storia, perché è da Genova che sono partite le navi di Garibaldi ed è da Torino che è partita l’idea di integrare il regno borbonico con il Regno dei Savoia. In effetti dobbiamo dire, che fa parte anche di questa storia, l’interregno del Vicerè cugino di Napoleone, Murat che sta a Napoli tra il 1800 ed il 1815, prima che il Congresso di Vienna riporti questo esangue monarchia borbonica sul trono, per altri trenta anni fino a al punto che Cavour non pensò di rimuoverla definitivamente. In qualche modo la storia di Napoli, più che la storia del Mezzogiorno, è una storia che ha incontrato molti anni fa la cultura del nord-ovest e non ha mai dimenticato di avere questa passione francofona, che invece non può essere considerata  come un vero incontro, quello con la cultura austroungarica, che in qualche modo era una manifestazione dei Borboni, anche se le Regine di Napoli Maria Carolina era la sorella della Regina di Francia, Maria Antonietta, però non c’è dubbio che questa  relazione tra  Napoli ed il mondo dell’Austro-Ungheria si è interrotto molto tempo prima, addirittura nei Promessi Sposi quando Napoli come a Milano c’erano le rivolte antispagnole, ma è una storia che si è interrotta proprio con l’intervento di Cavour che riporta Napoli in una sfera che  è in una relazione con il Nord Ovest e non quella con la relazione con Milano e l’Austro-Ungheria. 

 

Allora si passa altrettanto facilmente dall’altro lato , quello adriatico?

La geografia dice di no. Perché Venezia, Ravenna, la stessa Ancona, ma la stessa Bari, l’Adriatico è una cosa che non riguarda molto Napoli, se non altro per gli Appennini, che sono difficili da attraversare. La storia di Napoli non è una storia di rapporti con la cultura adriatica. Invece l’Adriatico è il grande mare che unisce i Balcani e la Grecia, all’Italia e non solo, ma anche ad Istanbul ed il Medio Oriente, cioè quella parte del mediterraneo che oggi interessa molto l’Europa, perché deve essere evidente che la costa del nord Africa e l’Africa stessa all’Europa interessano meno dei Balcani, della Turchia, del medio Oriente e quindi sarebbe facile saltare la barriera degli Appennini ed essere anch’essa protagonista di un rapporto con un mondo che è al Levante.

Forse se andiamo indietro nella storia di Napoli, abbiamo tracce di bizantini, tracce di cose che venivano da quella parte del mondo, le troviamo e forse abbiamo anche degli interessi culturali verso una cultura bizantina, verso il medio oriente ed il rapporto con i Balcani.  Però io direi che lo sforzo che Napoli dovrebbe fare per riuscire a ritrovare questa sua anima bizantina è sicuramente  dello sforzo che non deve fare, perché abbiamo capito che quello sforzo è uno sforzo minimo per ricostruire i legami che la legano all’Italia del nord-ovest. Napoli diciamo non avrebbe grandi difficoltà a ricollegarsi a Genova e Torino, mentre avrebbe dei problemi per collegarsi alla cultura bizantina ed all’adriatico e portare questi valori come un modo per portarsi  a contatto con l’Austro-Ungheria, con quello che rappresenta oggi il Veneto o Milano, che in qualche modo possiamo considerare ancora la capitale di questa regione che si è integrata in Europa pienamente.

 

Allora eravamo partiti da come l’Europa vede se stessa ed abbiamo provato a guardare a  quali strade  potrebbe percorrere Napoli per ritornare in Europa, ritrovare un collegamento con quello che abbiamo chiamato la capitale dell’ex Austrio-Ungheria cioè Milano, che rappresenta la più grande area metropolitana a Sud del pentagono europeo. Le due strade passano o per l’Adriatico-Medio Oriente  o per il Tirreno attraverso Genova e Torino ed abbiamo capito che la seconda strada è più facile.

Però viene naturale, a questo punto,  calare questo ragionamento nel tema che è all’ordine del giorno del dibattito politico italiano  e cioè il superamento dell’unità nazionale; la ripresa di una prospettiva federalista, la divisone dell’Italia in aree,  in cui ognuno si prende la  responsabilità di quello che riesce a fare e qua c’è un  grande handicap forte di Napoli che è anche la più grande città del mezzogiorno, che in questa idea di federalismo dovrebbe contare di più che come capoluogo di regione, ma quasi dovrebbe riuscire a riprendersi una leadership morale, mentre si diceva che Milano era la capitale morale del benessere Napoli dovrebbe essere la capitale morale del Mezzogiorno, del dopo federalismo. Perché c’è una difficoltà? Per dirla in modo che si capisca, nel Sud vive un terzo della popolazione italiana, ma nel sud si produce un  quarto del prodotto interno lordo nazionale, questo vuol dire che se con il federalismo, noi diciamo che ognuno deve provvedere ai suoi bisogni e se diciamo che questo standard  deve essere “reale” , cioè che un ragazzo che va a scuola deve avere lo stesso trattamento a Napoli come a Milano, un signore che va in ospedale a Matera deve avere lo stesso trattamento di un signore che va a Vicenza, un pensionato deve avere gli stessi servizi di sicurezza sociale, quando sta a Bari di come quando sta a Torino , se noi diciamo che questo “standard reale”, nel mezzogiorno vale un terzo della popolazione, perché i servizi si misurano sugli abitanti,  i consumatori di quei servizi. Ma se nel mezzogiorno c’è un quarto del prodotto nazionale vuol dire che c’è anche un quarto del gettito sociale, quindi qualcuno mi deve spiegare come si fa con un quarto di tasse  a pagare un terzo dei servizi che bisogna produrre. Questo vuol dire che nel mezzogiorno il federalismo è un problema, ma vuol dire anche che  il federalismo è un problema per l’Italia, cioè un paese dove i deboli stanno tutti da una stessa parte ed i forti tutti dalla stessa parte, dove non solo si concentra  la ricchezza ma anche il tenore di vita. Non può essere una politica federale di come quelli che vogliono ridurre il paese a fette, ci vuole qualcosa che funga da perequazione, ci vuole ancora lo stato nazionale che carica di ridistribuire una parte delle tasse pagate nel nord per produrre i servizi di quel terzo di popolazione che sta nel sud. Ora è chiaro che le cose stanno andando in maniera tale  che prima poi questa situazione  si aggiusterà, cioè un giorno siccome la disoccupazione continua ad essere fortissima  una parte di questi signori se ne andrà, vi sarà meno popolazione e forse basterà quella parte del reddito per pagare un quarto della popolazione, ma fino a quando  c’è questa differenza  una camera di compensazione serve e serve una ipotesi di federalismo, come si può dire, dove Cattaneo ritorna in auge e si cancella l’opzione risorgimentale e cioè di mettere insieme il paese. Bene, questa ipotesi mi sembra un po’ campata in aria, in quanto statisticamente inattendibile. Chi è che diceva questo, non lo dico io, lo diceva Cavour. Infatti prima di morire aveva percepito che cosa era successo. In uno dei suoi ultimi discorsi diceva:  abbiamo tolto a Napoli il ruolo di capitale  del Regno, abbiamo un debito verso questa città, dobbiamo fare in modo che in questa città diventi la capitale economica del Mezzogiorno, dobbiamo fare in modo che questa città ritrovi un ruolo di leadership intorno ad una rappresentazione politica istituzionale solo di se stessa. Ma intorno ad una rappresentazione economica  e questo fu un punto forte della destra storica, purtroppo la destra storica non è andata molto lontano in Italia, perché arriva poi il giollittismo, poi il fascismo, arriva  comunque un impianto giollittiano di politica del lavoro e di welfare e queste politiche non hanno mai pensato di dare una spina dorsale a Napoli economica, ma hanno pensato al massimo di fare un po’ di assistenza territoriale e di concentrare il proprio sforzo nell’industrializzazione della pianura padana e dei suoi d’intorni, come si vede dalla figura che abbiamo preso in esame prima. 

Questo ragionamento ci porta  fare  i conti con la natura del federalismo in Italia, quello che il federalismo deve essere per gli italiani, che vogliono che serva a qualcosa e non può essere una replica di Cattaneo per quello che ho appena detto. Il federalismo è due cose, è un obiettivo per il Nord, perché ora che si sente minacciato  da questo ventunesimo secolo che comincia male, nel senso  che inizia con un rallentamento della crescita con un tenore di vita con un aumento delle  problematiche alle quali gli abitanti del Nord non erano abituati, c’è un problema di integrazione, di reddito, di occupazione quindi il Nord  si sente minacciato in casa. Quindi per il Nord il federalismo è un obiettivo di usare al meglio, per la ricchezza che è capace di produrre, per garantire una buona qualità della vita ai suoi abitanti ed è giusto che sia così, perché il Nord ha la capacità di fare questo.  Ma per il Sud cosa è il federalismo? Il federalismo non è una scommessa, non è un obiettivo, ma deve essere uno strumento per mettere alla prova la sua classe dirigente, che è abituata a fare da tramite con la capitale, è abituata a prendere a Roma per distribuire male nel mezzogiorno  e quindi da questo punto di vista il federalismo sarà una scommessa impegnativa, perché sarà il modo di selezionare una classe dirigente, capace di fare questa marcia nel deserto, portare quel quarto delle tasse che si percepiscono nel mezzogiorno a soddisfare con la  integrazione del governo quel terzo  bisogna soddisfare, ma questo richiederà un profondo cambiamento. Nitti che è stato forse l’ultimo grande rappresentante della destra storica, nel senso che era in perfetta continuità con il pensiero di  Cavour, diceva che bisogna dare uno scheletro economico al mezzogiorno. Nitti diceva che nel mezzogiorno i nemici peggiori erano i “qualchecosisti”, quelli che appunto andavano a chiedere qualche cosa a Roma, così poi tornando nel proprio collegio elettorale e provavano, con quel “qualchecosa”, che erano parlamentari e rappresentanti del mezzogiorno.

Ecco di “qualchecosisti” non c’è più bisogno, c’è bisogno di una classe dirigente vera ed il federalismo potrebbe essere lo strumento con cui selezionare questa classe dirigente, che è cosa diversa di quella che faranno nel Nord, perché il federalismo per esso sarà l’obiettivo di utilizzare nel loro territorio la ricchezza che sono già in grado di produrre per quel territorio.

 

Come faremo a percorrere questo sentiero così complicato , come faremo a cambiare noi stessi attraverso il federalismo ed a trovare la strada  con la cultura del Nord? Sembra uno scherzo del destino, ma non credo sia un piano preordinato da qualche oscuro  pianificatore mondiale, ma il 2015 è un punto di arrivo di due percorsi che si svolgeranno in parallelo. Il  2015 è il grande appuntamentofissato per la grande Expo di Milano , dove appunto Milano apparirà sulla ribalta del mondo, di come la città cercherà di rappresentare gli equilibri  ed i problemi  da risolvere, poi c’è un altro  problema da risolvere  in parallelo fino al 2015, infatti dal 2007 al 2013, ma con l’obbligo di rendicontare i risultati  al 2015, si svolge l’ ultimo grande ciclo delle politiche di coesione europee, cioè l’ultima volta che il mezzogiorno, come la Spagna, come il Portogallo, come i paesi ex appartenenti dell’Unione Sovietica, riceveranno importanti   finanziari  per convergere come avevamo detto all’inizio di questa chiacchierata, verso un tenore di vita europeo. Quindi nel 2015 si apre l’Expo ed il mezzogiorno d’Italia deve dimostrare di aver saputo convergere. Ora tutti sappiamo che nel ciclo precedente, quello che iniziato nel 2000 e si sta concludendo nel 2008, il risultato è stato deludente. Nella famosa agenda 2000 dell’utilizzo dei fondi europe, si caratterizza per la difficile possibilità di individuare che cosa sia cambiato realmente nel mezzogiorno e certamente quel poco che è cambiato e troppo poco per l’impegno finanziario che l’Europa ha profuso per questo cambiamento. Quindi il 2015 è la fine di una strada, perché il federalismo italiano se sarà stato in grado di dare un risultato,  lo deve dare in chiave di convergenza verso l’europa, quindi Napoli dovrebbe essere più simile a Milano di quanto è oggi, perché non avrebbe senso parlare di convergenza  e quindi questa è una prima scommessa che rende anche misurabile il percorso che ci aspetta da ora al 2015. Ma c’è anche una seconda ragione che lo rende auspicabilmente misurabile.  Siamo tutti reduci di questa grande crisi , che non è stata come la crisi del ’29, ma sicuramente è stato un grosso scossone di assestamento al mercato internazionale, al sistema economico mondiale così come lo conosciamo oggi. C’è bisogno oggi di non andare incontro alla possibile seconda grande scossa e cioè dopo quella finanziaria beccarsi anche una recessione  economica, beccarsi anche la caduta dell’economia reale. Come si fa ad evitare una recessione ? In genere si fa accelerando la spesa, Roosevelt disse ci vuole un New Deal, una nuova rinascita, un nuovo patto tra gli americani quando dopo la crisi del ’29 rilanciò l’America. Ecco qui ci vuole un New Deal anche nel nostro caso ed il nostro sarà ancora una volta la capacità di usare con intelligenza i fondi europei,  che ci vengono messi a disposizione, quindi la capacità di alimentare come dice Roosevelt , una grande campagna per la costruzione di infrastrutture, di miglioramento del capitale umano, per ridare fiducia all’Italia del mezzogiorno e ridare terreno economico all’Italia. Oggi la scommessa di un utilizzo intelligente dei fondi europei e la scommessa del buon governo locale  sono le due scommesse che ci permettono di uscire da “qualchecosismo” di cui si infastidiva Nitti e dal rischio di una recessione, che è il rischio che dopo una grande crisi finanziaria minaccia l’Europa e minaccia quindi anche l’Italia e noi stessi nel mezzogiorno