Prof. Massimo Lo CICERO
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata)
16 Ottobre 2008.Napoli
Cominciamo a capire come l’Europa percepisce se stessa, nel senso di quale relazione stabilisce tra la sua struttura di città, la sua rete di città e l’economia che attraverso quella rete di città, vive. Nelle ultime elaborazioni dell’ESPON, che è un servizio di analisi e documentazione della Commissione Europea, appare questa rappresentazione del pentagono europeo. Il pentagono in effetti è una specie di farfalla, perchè è rappresentato dal triangolo che mette insieme Londra,Parigi, Milano con l’Austria,
Questo è l’interpretazione che dà l’Europa di se stessa, è il cuore dell’Europa, quindi Milano rappresenta l’ultima città europea e questa circostanza viene poi rafforzata dal fatto che, in questo caso ci sono dei pentagrammi (vedi rappresentazione), le zone rosse sono quelle in cui ci sono città che sono almeno a quarantacinque minuti dalla città da cui si parte, e questo si vede chiaramente, come la parte rossa più evidenziata a partire dalla Germania e, per quanto riguarda l’Italia, il rosso riguarda prevalentemente una direttrice adriatica, perché infatti
Abbiamo visto come l’Europa pensa se stessa, ora vediamo come l’Italia è, ed assumiamo un indicatore molto rozzo, la presenza di medie imprese di successo, quindi non delle grandi star o delle partite iva, nemmeno del troppo piccolo o del troppo grande. Una grande banca italiana,
Ora esiste paradossalmente, ma non è tanto un paradosso per quello che dirò alla fine, una ragione per considerare percorribile un collegamento che passi attraverso Napoli, Genova e Torino, cioè esiste qualcosa che lega ancora oggi, queste città apparentemente lontane tra di loro. Questo qualcosa è fatto di tre ingredienti basici, a cui aggiungeremo un quarto.
Il primo è l’industria aereospaziale, quest’ultima è un’industria che si trova in Piemonte, a Genova (stiamo parlando del gruppo Finmeccanica e dell’Ansaldo o meglio di tutte quelle aziende Finmeccanica che lega diverse aziende alla ricerca ed alla produzione di attrezzature aereospaziali ), tutta questa presenza non è solo presente a Torino ed a Genova, ma è presente anche a Napoli, quest’ultima è ancora una capitale industriale nel settore aerospaziale e lo è per certi versi anche una parte della Puglia quindi, come dire, esiste una “virgola” che lega Torino, Napoli ed il brindisino, passando ovviamente per Genova che di questa industria e del gruppo Ansaldo è stato un ospite storico.
La seconda cosa che lega queste tre strane sorti, cioè quella che lega Napoli alla sorte del Piemonte è l’industria dell’automobile, che troviamo a Melfi, quindi sul confine tra
Esiste un terzo legame industriale in cui certamente
Quindi c’è sia una tradizione industriale di produzione che lega queste tre realtà, ma c’è anche una tradizione finanziaria che li lega, perché il SanPaolo, che è una delle più grandi banche italiane, è la principale banca della Campania, è la principale banca a Genova, è la principale banca a Torino.
Esiste quindi una ragione per considerare Napoli,
Allora si passa altrettanto facilmente dall’altro lato , quello adriatico?
La geografia dice di no. Perché Venezia, Ravenna, la stessa Ancona, ma la stessa Bari, l’Adriatico è una cosa che non riguarda molto Napoli, se non altro per gli Appennini, che sono difficili da attraversare. La storia di Napoli non è una storia di rapporti con la cultura adriatica. Invece l’Adriatico è il grande mare che unisce i Balcani e
Forse se andiamo indietro nella storia di Napoli, abbiamo tracce di bizantini, tracce di cose che venivano da quella parte del mondo, le troviamo e forse abbiamo anche degli interessi culturali verso una cultura bizantina, verso il medio oriente ed il rapporto con i Balcani. Però io direi che lo sforzo che Napoli dovrebbe fare per riuscire a ritrovare questa sua anima bizantina è sicuramente dello sforzo che non deve fare, perché abbiamo capito che quello sforzo è uno sforzo minimo per ricostruire i legami che la legano all’Italia del nord-ovest. Napoli diciamo non avrebbe grandi difficoltà a ricollegarsi a Genova e Torino, mentre avrebbe dei problemi per collegarsi alla cultura bizantina ed all’adriatico e portare questi valori come un modo per portarsi a contatto con l’Austro-Ungheria, con quello che rappresenta oggi il Veneto o Milano, che in qualche modo possiamo considerare ancora la capitale di questa regione che si è integrata in Europa pienamente.
Allora eravamo partiti da come l’Europa vede se stessa ed abbiamo provato a guardare a quali strade potrebbe percorrere Napoli per ritornare in Europa, ritrovare un collegamento con quello che abbiamo chiamato la capitale dell’ex Austrio-Ungheria cioè Milano, che rappresenta la più grande area metropolitana a Sud del pentagono europeo. Le due strade passano o per l’Adriatico-Medio Oriente o per il Tirreno attraverso Genova e Torino ed abbiamo capito che la seconda strada è più facile.
Però viene naturale, a questo punto, calare questo ragionamento nel tema che è all’ordine del giorno del dibattito politico italiano e cioè il superamento dell’unità nazionale; la ripresa di una prospettiva federalista, la divisone dell’Italia in aree, in cui ognuno si prende la responsabilità di quello che riesce a fare e qua c’è un grande handicap forte di Napoli che è anche la più grande città del mezzogiorno, che in questa idea di federalismo dovrebbe contare di più che come capoluogo di regione, ma quasi dovrebbe riuscire a riprendersi una leadership morale, mentre si diceva che Milano era la capitale morale del benessere Napoli dovrebbe essere la capitale morale del Mezzogiorno, del dopo federalismo. Perché c’è una difficoltà? Per dirla in modo che si capisca, nel Sud vive un terzo della popolazione italiana, ma nel sud si produce un quarto del prodotto interno lordo nazionale, questo vuol dire che se con il federalismo, noi diciamo che ognuno deve provvedere ai suoi bisogni e se diciamo che questo standard deve essere “reale” , cioè che un ragazzo che va a scuola deve avere lo stesso trattamento a Napoli come a Milano, un signore che va in ospedale a Matera deve avere lo stesso trattamento di un signore che va a Vicenza, un pensionato deve avere gli stessi servizi di sicurezza sociale, quando sta a Bari di come quando sta a Torino , se noi diciamo che questo “standard reale”, nel mezzogiorno vale un terzo della popolazione, perché i servizi si misurano sugli abitanti, i consumatori di quei servizi. Ma se nel mezzogiorno c’è un quarto del prodotto nazionale vuol dire che c’è anche un quarto del gettito sociale, quindi qualcuno mi deve spiegare come si fa con un quarto di tasse a pagare un terzo dei servizi che bisogna produrre. Questo vuol dire che nel mezzogiorno il federalismo è un problema, ma vuol dire anche che il federalismo è un problema per l’Italia, cioè un paese dove i deboli stanno tutti da una stessa parte ed i forti tutti dalla stessa parte, dove non solo si concentra la ricchezza ma anche il tenore di vita. Non può essere una politica federale di come quelli che vogliono ridurre il paese a fette, ci vuole qualcosa che funga da perequazione, ci vuole ancora lo stato nazionale che carica di ridistribuire una parte delle tasse pagate nel nord per produrre i servizi di quel terzo di popolazione che sta nel sud. Ora è chiaro che le cose stanno andando in maniera tale che prima poi questa situazione si aggiusterà, cioè un giorno siccome la disoccupazione continua ad essere fortissima una parte di questi signori se ne andrà, vi sarà meno popolazione e forse basterà quella parte del reddito per pagare un quarto della popolazione, ma fino a quando c’è questa differenza una camera di compensazione serve e serve una ipotesi di federalismo, come si può dire, dove Cattaneo ritorna in auge e si cancella l’opzione risorgimentale e cioè di mettere insieme il paese. Bene, questa ipotesi mi sembra un po’ campata in aria, in quanto statisticamente inattendibile. Chi è che diceva questo, non lo dico io, lo diceva Cavour. Infatti prima di morire aveva percepito che cosa era successo. In uno dei suoi ultimi discorsi diceva: abbiamo tolto a Napoli il ruolo di capitale del Regno, abbiamo un debito verso questa città, dobbiamo fare in modo che in questa città diventi la capitale economica del Mezzogiorno, dobbiamo fare in modo che questa città ritrovi un ruolo di leadership intorno ad una rappresentazione politica istituzionale solo di se stessa. Ma intorno ad una rappresentazione economica e questo fu un punto forte della destra storica, purtroppo la destra storica non è andata molto lontano in Italia, perché arriva poi il giollittismo, poi il fascismo, arriva comunque un impianto giollittiano di politica del lavoro e di welfare e queste politiche non hanno mai pensato di dare una spina dorsale a Napoli economica, ma hanno pensato al massimo di fare un po’ di assistenza territoriale e di concentrare il proprio sforzo nell’industrializzazione della pianura padana e dei suoi d’intorni, come si vede dalla figura che abbiamo preso in esame prima.
Questo ragionamento ci porta fare i conti con la natura del federalismo in Italia, quello che il federalismo deve essere per gli italiani, che vogliono che serva a qualcosa e non può essere una replica di Cattaneo per quello che ho appena detto. Il federalismo è due cose, è un obiettivo per il Nord, perché ora che si sente minacciato da questo ventunesimo secolo che comincia male, nel senso che inizia con un rallentamento della crescita con un tenore di vita con un aumento delle problematiche alle quali gli abitanti del Nord non erano abituati, c’è un problema di integrazione, di reddito, di occupazione quindi il Nord si sente minacciato in casa. Quindi per il Nord il federalismo è un obiettivo di usare al meglio, per la ricchezza che è capace di produrre, per garantire una buona qualità della vita ai suoi abitanti ed è giusto che sia così, perché il Nord ha la capacità di fare questo. Ma per il Sud cosa è il federalismo? Il federalismo non è una scommessa, non è un obiettivo, ma deve essere uno strumento per mettere alla prova la sua classe dirigente, che è abituata a fare da tramite con la capitale, è abituata a prendere a Roma per distribuire male nel mezzogiorno e quindi da questo punto di vista il federalismo sarà una scommessa impegnativa, perché sarà il modo di selezionare una classe dirigente, capace di fare questa marcia nel deserto, portare quel quarto delle tasse che si percepiscono nel mezzogiorno a soddisfare con la integrazione del governo quel terzo bisogna soddisfare, ma questo richiederà un profondo cambiamento. Nitti che è stato forse l’ultimo grande rappresentante della destra storica, nel senso che era in perfetta continuità con il pensiero di Cavour, diceva che bisogna dare uno scheletro economico al mezzogiorno. Nitti diceva che nel mezzogiorno i nemici peggiori erano i “qualchecosisti”, quelli che appunto andavano a chiedere qualche cosa a Roma, così poi tornando nel proprio collegio elettorale e provavano, con quel “qualchecosa”, che erano parlamentari e rappresentanti del mezzogiorno.
Ecco di “qualchecosisti” non c’è più bisogno, c’è bisogno di una classe dirigente vera ed il federalismo potrebbe essere lo strumento con cui selezionare questa classe dirigente, che è cosa diversa di quella che faranno nel Nord, perché il federalismo per esso sarà l’obiettivo di utilizzare nel loro territorio la ricchezza che sono già in grado di produrre per quel territorio.
Come faremo a percorrere questo sentiero così complicato , come faremo a cambiare noi stessi attraverso il federalismo ed a trovare la strada con la cultura del Nord? Sembra uno scherzo del destino, ma non credo sia un piano preordinato da qualche oscuro pianificatore mondiale, ma il 2015 è un punto di arrivo di due percorsi che si svolgeranno in parallelo. Il 2015 è il grande appuntamentofissato per la grande Expo di Milano , dove appunto Milano apparirà sulla ribalta del mondo, di come la città cercherà di rappresentare gli equilibri ed i problemi da risolvere, poi c’è un altro problema da risolvere in parallelo fino al 2015, infatti dal 2007 al 2013, ma con l’obbligo di rendicontare i risultati al 2015, si svolge l’ ultimo grande ciclo delle politiche di coesione europee, cioè l’ultima volta che il mezzogiorno, come