Intervista al Prof. Matteo Bolocan Goldstein
Politecnico di Milano
15 Luglio-18 Settembre 2008 –Milano
a cura di Mario Mangone
Il vostro progetto Mondonapoli è una bella occasione per pensare al “locale” in una chiave diciamo non localistica e quindi ri-pensare le città in questa fase di sviluppo, in una maniera aperta, cosmopolita , relazionale. Da questo punto di vista la chiave che il progetto ha scelto è una chiave molto interessante per Milano, perché Milano è città aperta, è città scambiatrice e non da pochi anni; è una città che da questo punto di vista è cresciuta come realtà metropolitana, sia nella dimensione territoriale, sia nella dimensione culturale, tra il settecento e l’ottocento e affermandosi poi nel secolo scorso. Quindi è interessante riflettere su Milano in questa prospettiva, diciamo di lunga durata, dove la sua dimensione metropolitana è di apertura al mondo, non può che essere osservata nei rapporti che ha intrattenuto con quello che abbiamo chiamato storicamente il suo hinterland, il suo contado, la regione più vasta,
Questo è un aspetto molto interessante, nel senso che oggi si tende a torto ad immaginare la globalizzazione, come un qualcosa, un processo che investe soltanto le global cities, i nodi centrali gerarchicamente intesi. Invece io sono con Pierre Veltz, un geografo francese, che sottolinea apertamente che la globalizzazione investe tutte le componenti territoriali, quindi le città medie, i reticoli urbani diffusi, i piccoli distretti, oltre che i nodi centrali. Ma quello che è più interessante, è che rimette in discussione i rapporti territoriali, rimette in discussione ciò che storicamente abbiamo considerato la città e il contado, il centro e la periferia e in qualche modo li pluralizza.
Quindi rapporti territoriali da leggere in una chiave nuova, di apertura al mondo. Ciò vuol dire quindi, non dentro quel frame, insieme teorico e materiale, che è stato e che siamo stati abituati a leggere come rapporti sempre dentro circoscrizioni semantiche e geografiche chiuse: lo stato-nazione, le regioni, l'amministrazione, con confini indivisibili, ma potentissimi dal punto di vista, anche della strutturazione del pensiero.
Malgrado la potenza di questi confini, noi dobbiamo abituarci a pensare a città e territori, in questo caso Milano, in una fase diversa della mondializzazione, dove Milano sta nel mondo, in termini articolati, plurali, ma come stanno nel mondo, Torino, Venezia o Napoli per rimanere al vostro progetto "Mondonapoli". Il problema è capire città e territori, se volete anche nord e sud, nell'Italia contemporanea, non in una chiave retrò, dove anche queste questioni territoriali, come la questione meridionale o piuttosto la più recente questione settentrionale, come veniva intesa nel dopoguerra, la classe dirigente politica locale e nazionale, ma anche la classe dirigente economica, cioè dentro i rapporti nord-.sud circoscritti all'Italia. Occorre invece pensare e ri-configurare, rapporti che stanno reticolarmene, economicamente e dinamicamente agganciati al mondo, in un mondo che evolve e che modifica i rapporto territoriali, anche al suo interno, dove non ci sono solo le grandi città, gli stati-nazioni, ma ci sono un insieme assai ampio di località, in cui talvolta la dimensione geografica non è corrispondente all'importanza economica, all’importanza strategica, alla capacità propositiva. .
Per rimanere alla Milano più recente, di questi ultimi anni, che noi abbiamo provato ad analizzare in una recente ricerca ed abbiamo cercato di catturare in una immagine, poco più che una immagine, appunto di una “Milano Incompiuta” e qui è interessante provare a riflettere su questa dimensione di incompiutezza, che credo possa permanere nel tempo e sia quasi una ragione costitutiva di Milano, che non è solo una incompiutezza materiale, ma in qualche modo fisica, urbanistica, geografica. In questa città che si estende, come dicono alcuni colleghi, infinitamente , in un campo che è infinito geograficamente, ma anche infinito per strati, articolazioni sedimentate per giacimenti.
Milano probabilmente è una città più internazionale, di quanto le sue stesse classi dirigenti, le sue élite, la percepiscano come tale .
Milano è la città del Salone del Mobile, delle sette università, che stanno in rete nel mondo, dei nuovi ospedali, dei centri dell’eccellenza biomedica e sanitaria. E’ una città civile, con una componente economica densa, articolata e dinamica, eppure è una città che nel suo insieme, come attore unitario, non si percepisce internazionale, quanto in realtà lo è, e questo è un dato importante, perché è indicatore di questa scomposizione di quell'azione continua della mondializzazione, che appunto dissocia, segmenta e porta nel mondo in maniera differenziata.
Non è di per sé, quindi un dato significativamente negativo, può essere un dato con cui convivere, aumentando in termini riflessivi, la coscienza di questa questione e giocandosela in maniera aperta e più avanzata .
Se volessimo toccare un'altra questione, che sta nelle vostre dimensioni programmatiche del vostro lavoro, c'è una grande dimensione conoscitiva e c’è una grande incompiutezza del mondo della ricerca, degli strumenti conoscitivi che noi abbiamo a disposizione, oggi, per leggere le città ed i territori al plurale, dentro la mondializzazione.
In un recente saggio interessante che si intitola “Milano nodo della rete globale” promosso, tra gli altri, anche dalla Camera di Commercio di Milano, Piero Bassetti, personaggio importante non solo del contesto locale, si interroga in apertura, sul quanto difettano in questo momento racconti pubblici, ma difettano anche misurazioni, anche il misurarci empiricamente con il fenomeno urbano. Infatti ogni volta che parliamo di Milano, della Lombardia, dell’Italia, del Sud, di Napoli dobbiamo stare attenti a precisare di che cosa parliamo, quali sono gli oggetti, su cosa, noi in qualche modo, posiamo le nostre osservazioni e questi oggetti sono cangianti a seconda delle chiavi di lettura che noi utilizziamo.
Dobbiamo quindi indirizzarci ad una nuova generazione di ricerche che internazionalizzi la dimensione della comunicazione, cioè non si pensi di fare una ricerca in maniera compiuta, rigorosa, pesante e poi provare a comunicarla, ma si provi a fare ricerca, ed in questo caso mi ritrovo anche nella dimensione di Mondonapoli , perché è una dimensione che prova a sviluppare conoscenza nel corso di una azione in rete. Da questo punto di vista non parlerei nemmeno più di analisi, quanto di conoscenza, generare conoscenze nel corso delle azioni e probabilmente per nuove relazioni pubbliche. Se io penso al settore espositivo, alla moda, non posso che pensarlo, per filiere e quindi per regioni geograficamente multiscalari, multigeografiche, perché una impresa magari nel suo heart-quarter, nel centro di Milano , nella sua downtown, ma si nutre della dimensione distrettuale, se non nel meridione d’Italia, se non nell’Asia più lontana e quindi questa dimensione di trovare qui ed altrove, simultaneamente, dimensioni che sono connesse tra loro in maniera reticolare è un elemento proprio della fase metropolitana attuale.
In questo senso ci si potrebbe interrogare, ma allora questa incompiutezza è un discorso iperprocessuale, dove tutto è fluido e dove sembra impossibile afferrare o determinare delle nuove dimensioni? Io non penso ciò, io credo si possa immaginare da questo punto di vista il progetto pubblico, poi riconducibile anche a cose diverse, a volte piani, programmi, coalizioni di attori che si propongono in una sfera pubblica, ecco quasi come una forma che seca questo processo, una secante che in qualche modo posiziona, rinomina, riconfigura dei temi. In questo senso credo possa essere letto, in qualche modo la questione dell’Expo 2015.
Paradossalmente si discute molto a Milano se questo dia un nuovo fiato temporale alla città, ma sette anni sono brucianti per certe cose, in queste sette anni Milano più che pensare al grande progetto moderno, può propriamente mettere al lavoro e valorizzare la progettualità, che la città ha espresso ed esprime in questi anni, provando a sedimentare progetti pubblici riconoscibili. Credo che questo possa essere uno stile contemporaneo, con il quale pensare alla città ed alla progettualità pubblica. Quindi stare nei processi, ma starci provando anche ad evidenziare, là dove ci sono possibilità, di sedimentare e di rendere rappresentabili questi processi.
Quindi affermare questo, vuol dire in qualche modo riconoscere anche un campo di contese reali e potenziali, anche contese che attraversano la cultura di ciascuno di noi, perché è chiaro che qui, per esempio pensare l’Expo come cittadella funzionale, come solo progetto fisico infrastrutturale e cosa diversa che invece pensarlo come un progetto politico spazializzato, quindi un progetto politico che pur se risiede, localizzato e situato, ma sa giocarsi in rete.
A Milano inizia a prefigurarsi la possibilità di una Expo dei territori, non solo di una Expo della città. Allora si apre il tema di quali territori, parliamo di Milano e del suo intorno, del suo hinterland? O parliamo della globalcity di Torino, Milano, Venezia , Trieste o magari pensando anche ad una Expo 2015, che metta in rete città e che quindi coinvolga pienamente anche Napoli e le città del sud? Ecco sappiamo quanto, affermando queste cose, il gioco tra retoriche e nuove figurazioni e poi la durezza dei fatti quotidiani sia in agguato, però credo che occorra misurarsi in questa forma nuova. I segnali ci sono, recentemente proprio l’élite che amministra la città ha parlato per esempio di un Corridoio 5 della cultura, noi sappiamo che il Corridoio 5, questa immagine dura di fascio infrastrutturale tra Torino e Trieste, pensarlo anche in termini soft e ragionare da questo punto di vista su territorialità aperte, può essere di grande auspicio, proprio per immaginarci una Expo non introversa, ma una Expo estroversa, quindi che in qualche modo accetta e vince la sfida della contemporaneità.
Il progetto Mondonapoli poi accenna in maniera significativa alle dimensioni delle filiere, che sono dimensioni che richiamano appunto territorialità composite, se volete multiple e combinate. Da questo punto di vista è molto interessante, ci si potrebbe interrogare ampiamente sull’attualità del Made in Italy , piuttosto che il Made of Italy o del Made by Italy, nel senso che oggi molte delle cose che oggi noi produciamo stanno in rete, stanno in filiera, qui ed altrove e non solo all’interno dei confini nazionali e credo che da questo punto di vista dovremmo interrogarci sapientemente anche su tutti gli effetti di filiera. Io penso che una filiera è anche quella che permette uno smaltimento dei rifiuti localizzato, magari in Lombardia e quindi accende cooperazioni, pur nell’emergenza tra Lombardia e
Sappiamo quando negli ultimi quindici, vent’anni abbiamo discusso su un meridione al plurale, meridione o ancora macroregione depressa. C’è da lavorare molto su questo e si può fare da più punti di vista . Credo che l’Expo può essere, perché progetto solo e non solo milanese, una buona occasione per forse assumere un passo laterale e ripensare anche alle questioni territoriali, alle grandi questioni territoriali italiane, in modo aperto al mondo e irrelato al mondo.
Infatti prima abbiamo parlato d’incompiutezza di Milano e da questa prospettiva è interessante collocare l’Expo, perché quest’ultimo sembrerebbe una dimensione anomala, per una città poco in grado di esprimere un progetto collettivo. In questo senso l’Expo può essere osservato come una turbolenza , come un evento squilibrante, da un punto di vista spaziale.
L’ Expo situato, localizzato nella città compatta, sarebbe interessante che attivasse comportamenti da città rete. Questo è un aspetto più interessante, cioè il fatto di pensare, progettare, praticare l’ Expo, non solo come un contenitore localizzato proprietariamente nella città di Milano, ma come un luogo capace di generare relazioni progettuali e di scambio.
Se pensiamo in questo modo all’Expo, non come contenitore, ma come generatore di scambio, mi pare utile recuperare ciò che ci siamo detto in termini di filiere produttive e filiere culturali. Un’immagine che si è veicolato in queste ultime settimane è quella ad esempio di saper attivare non solo dei corridoi infrastrutturali, ma anche dei corridoi culturali e cioè una Expo capace di generare non solo relazioni materiali,con il supporto delle infrastrutture treni,aerei, auto ma anche capace di generare relazioni progettuali e quindi immateriali , ma non per questo di minore importanza. Possiamo considerare una cosa apparentemente laterale, ma recentemente le Regioni di Piemonte, Campania e Puglia hanno raggiunto un accordo per un meta distretto produttivo sull’aereospazio. Questo è molto interessante perché allude a politiche in reti, dove non solo la prossimità spaziale, ma invece questa capacità come dire , di articolarsi territorialmente in modo discontinuo, di alcune presenze produttive, in questo caso nel campo aerospaziale, permette e consente di facilitare scambi a distanza. Ecco io credo che occasioni tipo queste sperimentazioni, possono essere utili per immaginare una Expo, non solo cittadella funzionale, ma che sappia generare relazioni di scambio aperte al mediterraneo ed al mondo.
Abbiamo parlato di città compatta, di città rete, usando queste metafore possiamo proseguire provando a specificare che da questo punto di vista, l’Expo non è tanto qualcosa che dev’essere pensato da Milano, per l’”altro” da Milano e per altre città e per altri territori, ma può essere una sfida anche per altri luoghi, altri nodi della città rete. Questo pensarsi a progettare in relazione all’evento Expo. Questo credo possa essere anche una sfida specifica per Napoli, anche a pensare cose in territori locali, ma pensarli e generarli in maniera fertile nei confronti del tema e di ciò che in questi anni crescerà in relazione all’Expo.
Recentemente
Ecco credo che ipotesi di questo genere possano essere utili per immaginarsi e per innovare il modo di fare progetto pubblico, sia da parte delle pubbliche amministrazioni, sia da parte dei soggetti della sfera pubblica.
In questo senso il progetto Mondonapoli, mi pare sia in sintonia culturale con questo approccio, perché sfida non solo le classi dirigenti della pubblica amministrazione a stare sulle frontiere dell’innovazione, ma lo fa con una concezione della sfera pubblica aperta appunto a tutti i soggetti della società civile. Questo vuol dire che le forze della ricerca della conoscenza esattamente come il tessuto delle imprese, nei più diversi settori collocato, può e deve nutrire questo tipo di rapporti e questo tipo di progettualità. Da Milano il caso più eclatante è la politica per il mediterraneo, che da alcuni anni proprio