Il “viaggio” è quel particolare fenomeno che mette in gioco una stretta relazione tra la propria consuetudine territoriale e la possibilità di sperimentare una propria alterità, la propria identità. Quindi è uno stato di alterazione identitaria, un’area di rischio, d’avventura, luogo provvisorio per confermare la propria autorappresentazione o la messa in discussione della stessa.
Tutto sembra, qui ed ora, uno straordinario “collage” di standardizzazione e particolarismo, di globalizzazione e localismo, una sorta di cannibalismo estetico, in cui sono gli spezzoni che colpiscono i nostri sensi, una pornografia diffusa dell’esperienza, una zoommata continua sul particolare, disgiunto dal contesto; un’assenza cognitiva delle relazioni storiche e contemporanee, in cui la memoria e desiderio di futuro, vengono formattate in un solo tempo istantaneo, una sorta di “dittatura del presente” che è prodotta e consumata, all’interno di piattaforme geopolitche e culturali, ben precise; un’eterna “transizione” da un’immagine ad un’altra, da un’emozione ad un’altra, senza definirne la logica dell’intera composizione.
Quindi “viaggiare” oggi, sia in termini fisici, che in forme digitali, non può non fare i conti con questo contesto. Sarebbe stupido negarlo o posizionarsi nel mezzo. Si può dare per acquisito questo contesto, come dato, entro cui adeguarsi con modelli e linguaggi ereditati od addirittura copiati da altri; ma la scommessa è tutta qui, innanzitutto considerare questo contesto un nuovo tavolo da gioco su cui far operare infiniti linguaggi, capirne le funzioni, le profonde relazioni e deciderne poi le proprie, quelle “possibili”. Praticare spazi critici e produttivi di libertà. Di sperimentazione del possibile.