Intervista al Prof. Alberto Abruzzese (nel 2008-Università UILM-Milano), nell’ambito del Progetto Mondonapoli-Verso l’internazionalizzazione e l’innovazione del territorio euromediterraneo
(intervista eseguita il 15 Luglio 2008 a cura di Mario Mangone).
“…Alle mie spalle c'è il Pirellone. E’ un grande bel grattacielo ed ha la sua storia, che è la storia di Milano come città verticale, che è una storia non compiuta, che è il territorio della Milano del centro.
La Milano Centrale della Stazione rispecchia tanti progetti, che non sono riusciti a legarsi insieme. Alcuni grattacieli ne segnano la conformazione e non a caso adesso verrà ripreso il tema del grattacielo, in occasione di questa nuova frontiera che si propone a Milano ed all'Italia, che è l'Expo del 2015.
Milano, la Stazione Centrale, il Pirellone, la grande tradizione architettonicamente espressa dalla Stazione Centrale di Milano. Città del nord al confine con l'Europa. Città produttiva ed il Pirellone è il sogno della grande Milano, della Milano che può pensare di essere città verticale ed invece è stata continuamente insediata da ondate di sviluppo, che la rendono corpo omogeneo al centro e che tuttavia lo rendono abbastanza incompiuto. L'annuncio è quello che la strategia, il sogno, il progetto del grattacielo riprenderà e l'occasione è quella dell'Expo 2015.
Ci sono tre ricorrenze che abbiamo di fronte, l'ultima è quella del 2015, con l'Expo di Milano. Il 2011 è il centenario dell'evento Expo 1911, che fu fatta a Torino, Firenze e Roma. Fu fatta a dimostrazione che l'Italia si era persa un'occasione per tutto l'ottocento, che era quella di riuscire a fare una “Grande Esposizione”, come erano riusciti a farla in tutte le altre grandi metropoli.
Ma Roma non era una metropoli. L'Italia non aveva metropoli, si era persa questa occasione, che allora nel 1911 era solo per recuperare l'aura delle grandi esposizioni dell'ottocento, ma niente di più; tentativo con l'E42, ma per vari motivi non compiuto. Ci sono delle tracce interessanti, ma in qualche modo l'Expo di Milano 2015 è la grande scommessa che l'Italia si gioca, nell’essere sede di una “Grande Esposizione” e tra l'altro di esserlo avendo, appunto, scavalcato l'ottocento ed il novecento e quindi dovendosi porre una domanda e cioè: quale è il senso di una “Grande Esposizione” oggi, in una società e civiltà post-industriale?
Tra il 2015 Expo a Milano e il 2011 a Torino, c'è il 2013 a Napoli, Forum delle Culture.
In qualche modo prospettando queste date, questi appuntamenti, con il valore simbolico che sempre hanno questi appuntamenti, possiamo anche ricavare una sorta di mappa delle città.
Torino è la città in qualche modo chiusa, che in questi ultimissimi anni ha fatto alcuni sforzi, anche con successo, per rinnovarsi urbanisticamente, come sempre intervenendo per questi eventi che portano risorse in una città.
Napoli è il territorio più contrastato, drammaticamente dilaniato che ci sia ed è anche quello che proprio per i drammi che vive, in qualche maniera, finisce per occupare la sfera simbolica più alta di quelle che sono le contraddizioni del moderno.
La mia tesi è sempre stata quella che a Napoli si vede ciò, che nelle altre città non si vede. Si vede ciò che viene nascosto e che Napoli può essere l'origine della metropoli, la fine della metropoli. Può essere una città che somiglia alle megalopoli o somigliare ad altre estensioni, addirittura dell'oriente. Quindi una città estremamente complessa e secondo me, anche se può suonare strano, è su Napoli, che oggi, per far progetto oggi, bisognerebbe riflettere e questo può servire per ragionare sull'Expo del 2015.
Il problema resta ancora quello di città che in Italia sono lontane, non soltanto territorialmente e fisiologicamente, ma culturalmente, mentalmente dall'esperienza metropolitana. Torino è la città e resta la città.
Roma è una città che si sta avvicinando ad essere metropoli, ma che a mio parere sarà ben difficile che possa raggiungere il modello di città come Parigi, New York o Londra. Perché? Per un semplice fatto che sembra banale dire, ma che è fondamentale: non ha avuto negli anni ‘50 e ‘60 la metropolitana.
L'assenza della metropolitana a Roma è il motivo per cui intere zone di Roma sono, nonostante la loro bellezza, la loro centralità o il gusto del margine che hanno fra l’antico ed il moderno. Per quanto possano insieme, non riescono ad attrarre quei flussi di gente che sono realizzati da una mobilità, che in altre città è stata realizzata a volte cinquant’ anni, a volte molto più tempo prima.
Resta Milano. Milano è interessante in questo senso perché nemmeno Milano, nonostante tutti dicono che Milano è un paesone, che è piccola ed è vero. Se uno pensa alla Milano vecchia, quella antica, quella che ha nascosto i Navigli, quella che adesso spera di fare degli interventi di città creativa, di scoprire i Navigli e ridare questo aspetto di antica città, che per molti aspetti è dilaniata e continuerà ad esserlo, perché poi nasceranno nuovi grattacieli e contemporaneamente però altre forme urbane. Mentre la vera metropoli, Napoli, la conquista con la sua enorme periferia.
La città infinita che occupa, quasi tutta o almeno, buona parte della Lombardia ed è veramente lì, che si misura una dimensione post-industriale post-moderna, una moltiplicazione del capitalismo, una moltiplicazione dell'immaginario, che è quello a cui probabilmente doveva pensare l'Expo.
Quindi l'Expo 2015 è la sfida di riuscire a fare una “Grande Esposizione”, quindi un fenomeno che è nazionale, ma dev'essere globale, che dev'essere locale e globale. Anche qui le ultime grandi esposizioni hanno dovuto iniziare a porsi il problema di una cultura “glocal”, cioè locale e globale allo stesso tempo e qui ancora l'esempio di Napoli può essere interessante, perché le radici metropolitane di Napoli, ci sono. E’ stata forse l'unica città che nell'ottocento, in qualche modo, aveva individuato una possibilità di città metropolitana e l'aveva individuata, su che cosa? Proprio sul Gran Tour e quindi proprio sui grandi flussi turistici di quegli anni, nella dimensione di quegli anni.
Quindi l'Expo oggi può porre un tema interessante che è quello di una metropoli che non è verticale, che non è centralizzata, ma è orizzontale e frantumata. In cui contemporaneamente si abita il luogo fisicamente e si è sulle grandi reti, sui grandi flussi globali.
Qui la parola “Mondo” ha significato. All'origine delle grandi esposizioni, il Mondo era il pianeta. Si trattava in una città, di creare collegamenti con un’altra città che stava sul pianeta terra. Oggi Mondo è una dimensione comunicativa, mentale, culturale. Il fatto di trovare la parola “Mondo”, come parola chiave del progetto napoletano Mondonapoli, ha senso in questa dimensione.
Oggi il processo di smateriallizzazione, non fa riferimento alla terra Geo-Politica, ma fa riferimento a un'idea di Mondo, alla costruzione di una idea di Mondo.
Napoli ha una caratteristica che è quella in qualche maniera di avere il mare davanti, grandi orizzonti di tipo storico, culturale, ma anche in qualche modo di dare la sensazione di un ventre, che preme al suo interno. Quindi una città che in qualche modo, attraverso catastrofi e varie calamità ( del resto il Vesuvio simbolicamente è sempre stato lì a ricordare questo), si riferisce a implosioni. La fase terminale della modernità è caratterizzata da implosioni e quindi anche qui tra un territorio napoletano, così caratterizzato, così inconfondibile e invece il territorio intorno a Milano, alla città infinita così ripetitivo, difficilmente identificabile,in qualche modo sono il frutto di una stessa implosione.
La “città infinita ” è caratterizzata, da essere su un punto, che è contemporaneamente è centro e periferia. Ciascuna persona si intrattiene con questo. Il “sapere” che dovrebbe essere invocato a progettare, metta Napoli al centro di una riflessione sull'innovazione della città e sull’innovazione del suo territorio, riuscendo appunto ad intervenire in un territorio come Milano e in qualche modo vicino alla cultura della rete, che è intrattenimento in ciascun punto di un territorio, in cui si è nello stesso tempo al centro e fuori del centro, cioè all'infinito, sullo sconfinamento e questo corrisponde anche a una cultura dei consumi, che ha sempre puntato sulle emozioni, sul desiderio, sull’oltrepassamento. Quindi anche questo dimostra che si riflettendo sul mercato, sulla comunicazione, sull'urbanistica e il design, in qualche modo c'è un nodo centrale che andrebbe affrontato…”