MANIFESTO STRATEGICO POLITICO-CULTURALE
NAPOLI
2020-2030
NAPOLI È AD UN BIVIO EPOCALE.
Si chiude un’epoca per la nostra città, come per il contesto entro cui si è sviluppata. La storia insegna che, quando se ne chiude una, si arriva spesso con poche risorse, oggi forse depositate in qualche angolo nascosto ed imperscrutabile. Bisogna sperare su qualche risorsa residua? Ma dove sono?
Siamo già nel cuore di questo passaggio epocale: crisi economiche, sanitarie, climatiche, ambientali e geopolitiche planetarie, sono lì a ricordarcelo, lungo le nuove scansioni temporali del nostro vissuto quotidiano.
Mentre si naviga in queste acque difficili, già sono in opera azioni, pensieri, progetti, processi e forti volontà singole e collettive che sperano, cercano, agiscono per cavalcare questo passaggio, primo per non esserne travolti, in seconda battuta per approfittarne e superarla, uscendone più forti.
In questo contesto generale, Napoli rischia concretamente di occupare uno spazio sempre più periferico, inconsapevole e tragicamente distratta nel non rendersi conto della natura storica ed epocale di questo passaggio. Causa di tutto ciò ha ragioni profonde, bisogna cavalcare le onde lunghe della propria storia e delle sue relazioni con il mondo; ma prendere in considerazione anche cause recenti, riconducibili sinteticamente alla scarsa qualità della propria classe dirigente, sicuramente non all’altezza di questo complesso passaggio storico.
Infatti sembra che tutto si sia ridotto, nel bene e nel male, alla ricerca del “salvatore” di turno, nell'inseguire l’emergenza di turno, evitando così di fare i conti con le condizioni strutturali, strategiche e culturali, per permettersi di navigare in queste nuove acque tumultuose.
Il non farlo è una scelta imperdonabile, per il presente, ma innanzitutto per il suo futuro.
DA DOVE INIZIARE?
Non partiamo con l’elenco delle cose mancanti, o delle questioni ataviche e storicamente presenti nella nostra realtà urbana, di cui spesso si fa menzione. Essi non sono state mai affrontate, nella loro logica strutturale, anche perché rispondenti ad una logica di sviluppo territoriale a-simmetrico, consolidatosi nell’arco dell'ultimo secolo e mezzo.
E’ necessario valutare le nostre scelte in funzione di questa scala temporale. Siamo di fronte ad una scelta epocale, riducibile sinteticamente al nostro bisogno di capire in quale direzione collocare il timone della nostra barca.
Quindi dobbiamo riannodare il filo rosso della nostra storia millenaria e collocarla su una nuova piattaforma strategica di sviluppo, per riannodare più proficue relazioni con il “mondo”?
Oppure lasciare liberi gli interessi, i soggetti, le opportunità, le occasioni consolidate e non, verso un processo di destrutturazione generale, alla mercé dei processi esterni alla nostra realtà urbana, senza una visione strategica?
Questo è il bivio che ci pone il nostro difficile presente.
La prima opzione ci spinge a fare i conti con la nostra storia, non solo quella recente, ma con quella più generale appartenente, non solo a noi, almeno a partire dall’intero bacino del mediterraneo; area in cui si sono sperimentate e sviluppate le prime esperienze di civiltà urbane, circoscrivibili brevemente alla nascita della “polis” greca e della “civitas” romana, nucleo fondante della struttura territoriale del periodo imperiale. Sappiamo che questa memoria non può essere il perno centrale intorno a cui costruire un nuovo modello di sviluppo, ma essa ci permette di delineare in modo profondo la qualità delle cesure storiche entro cui ci siamo trovati, a partire dalla nascita della civiltà occidentale, frutto di complesse stratificazioni di ordine storico, politico-religioso.
Ciò ci permette di non abbracciare una facile regressione identitaria. Il problema è capire appunto quanto di quella storia urbana, con una forte connotazione unitaria, frutto di memoria, di tradizioni etiche e relazionali, continuano a gettare le loro ombre sul nostro futuro.
Ciò comporta come prima opzione strategica rafforzare gli strumenti che organizzano e producono una “memoria attiva”. Per cui paradossalmente i primi riferimenti di cui avvalerci sono quei luoghi che hanno assunto nella nostra esperienza il compito d'"ibernare il tempo”, come i musei.
E' la rete dei musei urbani napoletani e metropolitani, insieme alla stratificazione storica urbana, il nucleo fondante su cui costruire una nuova visione del nostro futuro, una ricaduta virtuosa sulle diverse intersezioni del nostro territorio con la rete dei nodi globali e locali del mondo. I musei come nuove "Fabbriche del Tempo", produrre un nostro autonomo punto di vista sulla produzione del nuovo “Tempo”.
La seconda opzione ci lascia invece galleggiare sulle dinamiche esistenti, quelle operanti sul tavolo della competizione tra territori, di diversi paesi, su diversi paralleli. Ci arriviamo deboli, senza una struttura economica e sociale adeguata. Quindi il rischio di essere ancor più marginalizzati, sia per oggettive "mancanza di tempo", per carenze indigene, che per il peso di soggetti esterni più forti capaci di dettare legge sugli altri.
COSA SCEGLIERE?
La prima opzione è una scelta!!! Fa leva sulle proprie risorse e sulla propria identità e giocarsele come elementi che producono una “mossa”, una nuova visione, che sia giusta o sbagliata.
Questo tema condiziona fortemente il progetto nel futuro “Regno del possibile” e lo colloca in una dimensione “sradicata” dal semplice stare nella consolidata città di pietra. Quanto oggi sia difficile capire i limiti che dividono la vita concreta e reale di una città, da un nuovo bisogno di abitare il mondo. Quante nuove relazioni? Quanti nuovi bisogni? Quanti nuovi Tempi dell’esperienza urbana, singola e collettiva.
Sembra che tutto l’apparato di conoscenza sulla nostra città sia troppo impegnata a guardare dentro se stessa ( dando per acquisito che la conoscenza non deve mai avere limiti), sembra appunto che tutta la produzione di tali in-formazioni, sia una fonte prolifica di riflessi autoreferenziali, più funzionali ad altre pratiche che alla messa in relazione tra “realtà” e sua “trasformazione”. Tutto ciò sembra un mastodontico apparato che vuole resistere al “reale contemporaneo”, dimostrando così, anche se non è nelle sue vere intenzioni, di mettere in vetrina debolezze culturali incapaci di cavalcare le potenti onde della modernità, a meno che non si dimostri che il lavoro storico analitico abbia una forte connotazione di modernità. Dovremmo ad esempio iniziare a mettere i piedi in questo nuovo territorio sconosciuto, poco studiato, individuare anche per linee generali le forme delle relazioni che Napoli ha sviluppato a partire dalle prime forme di sviluppo contemporaneo della città ereditata a partire dall’800 in poi, sino alle nuove grandi trasformazioni del dopoguerra, nel nuovo rapporto tra Europa ed America ed oggi tra Napoli ed il Mondo intero in chiave globale. Come si costruisce questa nuova fase?
Questo “Reale Contemporaneo” avanza pre-potentemente, con un suo disegno sicuramente non chiaro e non ascrivibile ad un solo chiaro ideatore o progettista, come un liquido od una forma gassosa, capace di insinuarsi in ogni vuoto interstizio fisico ed immaginario, attraverso nuovi linguaggi, nuove tecnologie, nuove pratiche progettuali e di gestione ed in quanto tali fortemente condizionanti vecchie relazioni.
Ma la conquista non avviene più su un piano piramidale, nel cercare appunto di conquistare il vertice della piramide, all’interno di una logica di egemonia unificante dei diversi interessi e conflitti, ma nella costruzione di un peso, organizzativo, d’immagine, di figura, di simbolo, di peso estetico o di linguaggio preponderante sugli altri, in un tempo provvisorio e non permanente, abbracciando una logica di “sincretismo”, una sorta di sintesi parziale, instabile e sempre transitoria.
La seconda, lascia le cose come stanno!!! Rimanendo vincolati alla forza degli elementi in gioco, ma intendendoli come possessori di un patrimonio consolidato nel “tempo” recente, ma non inseriti in un sistema rigeneratore di nuovo “Tempo”.
Tutto ciò richiede una nuova classe dirigente capace di gestire questo complicato passaggio. E’ da evitare il fare sempre riferimento ad un sistema piramidale. entro un ambito circoscritto e chiuso (i confini comunali o metropolitani), al cui vertice esista come sempre, il “salvatore” di turno. Bisogna immettere grandi novità nelle complesse reti della ricerca, della formazione, dell’amministrazione locale o del mondo professionale- imprenditoriale. Coinvolgere una forte componente di nuove generazioni (next generation), capace di rompere vecchie consuetudini, sistemi di gestione territoriale ormai obsoleti ed impotenti di fronte ai nuovi passaggi epocali.
in allegato il Rapporto Check-up Mezzogiorno 2020 realizzato dall’Area Politiche Regionali e per la coesione territoriale di Confindustria e da SRM - Studi e Ricerche per il Mezzogiorno. Coordinamento del lavoro: Alessandra Caporali, Agnese Casolaro.
Sulla scoperta del Termopolio a Pompei (da Adn Kronos)