Da tempo il mondo va in un’altra direzione e noi usiamo ancora vecchi strumenti interpretativi per cercare di capire la realtà che ci circonda. Infatti sembra che quest’ultima si stia dissolvendo in tutte le sue principali articolazioni fisiche e materiali; un diffuso tsunami immateriale, composto da flussi, reti digitali, cloud ed algoritmi esponenziali, ha investito il nostro pianeta, avvolgendolo in una prospettiva inesorabile ed irreversibile. Sentiamo la necessità di ritrovare nuove coordinate, nuovi codici interpretativi e progettuali, ma nel farlo bisogna necessariamente riattraversare la nostra storia e forse anche la nostra capacità di concepirne il senso attraverso la vita e quello della morte. Per questi motivi è opportuno ritrovare nuovi linguaggi e visioni, capaci di dispiegare nuovi territori, nuovi luoghi riconoscibili, nuovi orizzonti per ognuno di noi, per i nostri corpi, per le nostre città e territori, per i nostri paesaggi naturali, insomma per il nostro intero pianeta, con i suoi percepibili confini.
Risulta allora forse necessario, per ognuno di noi e per le diverse collettività, accedere ad un nuovo strumento, a cui possiamo dare provvisoriamente: “URBAN IMMATERIAL ATLAS”. Appunto un qualcosa che ci possa permettere di fotografare, elencare, illuminare, registrare in forme narrative adeguate, almeno quello che è successo sotto ai nostri occhi, senza che ce ne rendessimo conto.
La cosiddetta “globalizzazione” ha rimesso in primo piano il globo ed il suo consolidato e stratificato “Patrimonio Conoscitivo”, appartenente alle grandi famiglie della storia umana, parliamo in particolar modo di quella occidentale. Sembra che, nel suo ambito, ogni certezza sia svanita, nei suoi libri, nelle sue biblioteche, nei suoi documenti o report scientifici. Sembra che il “tutto” stia sfuggendo, abbandonato ad imprevedibili direzioni, fluttuante nello spazio di un tempo imprevedibile, non più governabile o circoscrivibile.
Alla sicurezza stanziale garantita dal vecchio “Stato”, si è sostituita l'infinita mobilità di conoscenze, capitali, merci e persone. Una mobilità non soltanto fisica, ma anche cognitiva, riferita appunto allo stato del pianeta e al rapporto fra natura e razionalità tecnica, come pure alla forma trans-locale, trans-nazionale dei saperi, della conoscenza, dei processi istituzionali necessari a fronteggiare la crisi sistemica profonda che si e aperta. L'attuale dimensione globale del mondo impone quindi un nuovo orientamento nel pensiero e conseguentemente in una sua diversa ricaduta sulle sue nostre capacità di ri-progettarla. Parafrasando Cocteau, e come se il Minotauro avesse inghiottito il labirinto.
Time Experience è obbligata a partire da questo assunto strategico, starne fuori significherebbe andare a vuoto, non valutarne le reali condizioni di partenza. Da qui, proponiamo ai fruitori della nostra piattaforma analitica e progettuale, di seguirci in questo profondo rimescolamento delle carte. A partire dai temi dello spazio, del tempo, della materia, delle sue cose e dei suoi oggetti, non solo da parte delle discipline territoriali, ma anche come quelli del pensiero giuridico, ad esempio, che vede svanire ogni tradizionale dimensione regolativa nazionale e internazionale, come del pensiero sociologico, che ha sin qui ragionato per strutture sociali e relazionali ben circoscritte, tralasciando i nuovi spazi immateriali che andavano sviluppandosi lungo la storia della nuova città moderna, come della dissoluzione del pensiero filosofico, geografico, storico ed antropologico.
Time Experience vuole essere il focus promotore ed ideatore di un “Atlante”, per pensare e agire dentro l'attuale, confusa transizione globale, coniugando pluralità di punti di vista ed unità di obiettivi, avvalendosi dei contributi di addetti ai temi della sociologia, filosofia, geografia, architettura, paesaggistica, design, estetica, della giustizia, economia, storia e tante altre discipline, forse ancora da inventare.
Non esiste un obiettivo finale, ma concepire questo “Atlante” come uno strumento perennemente flessibile e precario, auto-rigenerante, capace di rimettersi continuamente in discussione, anzi concepire implicitamente una sua capacità di “auto-rivolta” personale e collettiva, di qualsiasi natura. Ovviamente questa capacità sarà tanto più possibile ed efficace se avrà la possibilità di accedere a mezzi organizzativi, tecnici ed economici per dispiegare queste intenzioni. Quindi strumenti moderni di sostentamento per affermare quanto più possibile la sua autonomia da obbligati vincoli o condizionamenti.
Per adesso non è tanto importante dare risposte, ma porsi delle giuste domande. Le risposte verranno messe in vetrina, messe a profonda verifica e vaglio per una diffusa platea di fruitori della nostra piattaforma, che avrà la possibilità di rispondere agli stimoli che la stessa tenterà di provocare. Iniziamo a definirne i limiti con un lavoro largo e nello stesso tempo puntuale, poi lungo il cammino verificheremo la natura e le potenzialità degli obiettivi che ci siamo proposti.
Una delle prime domande da porsi è questa: quando inizia questo processo di dissoluzione? Quando iniziamo a percepire l’esigenza di andare oltre la materia? Quando sentiamo l’esigenza dell’andare “oltre”, dello scavalcare quel preciso e specifico (sul piano storico) quel “limite”? Quando inizia il bisogno di andare oltre il limite del proprio “corpo” ed a seguire quello del proprio ambito urbano, della propria città, del superamento della propria nazione o patria, del proprio continente, fino al bisogno di andare oltre il limite del proprio pianeta per abbracciare scenari che iniziano ad essere quasi insindacabili? A cosa serve porsi questa domanda? E’ necessaria? Dove ci porta?
Domande quasi banali, che ci spingono, quasi a ridurle al classico: chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Invece non è tanto banale porsele, perché ci obbligano ad entrare nel merito del nostro pensiero, della propria capacità identitaria, analitica e progettuale, sia per quanto riguarda il pensiero del singolo, che quello della propria collettività a cui si appartiene; intesa come sistema organizzato del pensiero diffuso su uno specifico territorio. Ma già su quest’ultimo punto chi potrà rispondere nel merito di questi limiti? Chi potrà dire dove inizia o finisce la forma, la qualità del proprio pensiero territoriale, insomma il senso della propria cultura urbana? Quali sono i confini oltre i quali nasce l’”altro”, lo sconosciuto, l’inconciliabile, il diverso da sé? Non siamo forse nella condizione che i vecchi confini si sono ridotti ed ampliati contemporaneamente, nello stesso istante, in una relazione ingestibile per la nostra capacità cognitiva e percettiva? Non siamo forse estranei a noi stessi? Dove addirittura il limite minimamente percettibile ed attualmente, obbligato a governare un minimo progetto di “gestione” è quello del nostro corpo? Non è forse quest’esito, appartenente ad un’epocale implosione, alle caratteristiche implicite delle categorie classiche del nostro sviluppo? L’andare oltre, sempre oltre, già a partire, ad esempio, dal superamento delle mura della nostra antica “polis”?
Ma questo esito ci porta a chiederci, ma cosa ci spingeva ad andare oltre, perché avevamo l’esigenza di andare sempre oltre quel limite? Ora che abbiamo conquistato e superato tutti i limiti terreni, come ci si relaziona alla conquista dei nuovi limiti al di fuori del vecchio “limite Terra”? Come valuteremo quelli lasciati sul terreno del vecchio mondo?
Ecco, arrivati al compimento finale del definitivo superamento di ogni limite, verso cosa stiamo già puntando? Sembra che in silenzio, appunto in forme immateriali, una profonda rivoluzione epocale sia già in atto e cioè quella della dissoluzione di ogni limite fisico materiale e l’avvio di infiniti mondi, di nuovi infiniti limiti prodotti e consumati in un nuova città, quello della rete, quello della nuova città digitale. In filosofia si diceva, dalla conquista della Terra passeremo all’Aria. Ecco ci siamo!!!
Stiamo galleggiando in questa nuova materia, composta di bit, algoritmi, nuvole di numeri, nulla è più individuabile all’interno di un luogo radicato, stratificato e diluito nel ritmo temporale: passato-presente-futuro, tutto è istantaneo, indifferentemente posizionato.
All’impotente cittadino della nuova città non rimane che cercare di esistere, o meglio solo acquisire l’arte della sopravvivenza, consolidare quanto più possibile, lungo il fluire del proprio tempo, la percezione della propria resistenza, della messa alla prova dei nuovi propri limiti: quelli del proprio corpo ed in forme completamente nuove ed incerte, quelle della propria intelligenza, della forma del proprio pensiero. Una grande scissione rimane sul grande tappeto dell’evoluzione umana quello tra il Corpo e la Mente, tra Carne ed Intelligenza, tra Biologia e Pensiero. Lungo queste linee passano le categorie con le quali è possibile costruire i nuovi “luoghi” del futuro. Il conflitto tra questi termini determinerà le forme della nuova città del futuro. Ma chi gestisce, chi produce questi attori della guerra in atto? Chi è in possesso degli strumenti più adatti per governare la direzione di questo conflitto? Bisogna forse partire dalla storia di questo “possesso”.
Dalla prima pietra al bit, la “tecnica” si è posto sempre come strumento principe per raggiungere lo scopo: superare il limite, a volte e spesso questo passaggio si è tramutato in bellezza, in meraviglia, in orrore, in tragedia, ma la direzione era sempre la stessa, occupare il posto di chi si metteva tutto alle spalle. Ma in questi passaggi non erano un bisogno estetico, ma di necessaria “potenza”, ammantata di necessaria “violenza”. Il superamento del tuo limite è la produzione dei miei nuovi limiti entro cui posso ri-vedere un nuovo paesaggio, un nuovo luogo, una nuova città, un nuovo corpo. L’obiettivo forse è sempre lo stesso, ma le forme sino ad ora sono sempre state diverse. Quali sono le differenze con oggi? Che l’evoluzione sino ad ora è avvenuta sulla terra, sull’acqua e nell’aria, da ora non più, esiste una nuovo mondo parallelo riproducibile infinitamente, quello della rete. Quindi non più città, non più navi, non più arei e satelliti, ma “nuove realtà” prodotte da numeri.
Che fine fa tutto il mondo precedente? Che tipo di frizione provoca con quello nuovo? Sono compatibili tra loro, possono collaborare o sono in profondo conflitto? Quindi è il caso di capire come si sono prodotti sia l’uno che l’altro e conoscerne la profonda natura, le vecchie e nuove relazioni determinate dalla loro stessa presenza, al tempo della loro nascita ed al tempo della loro nuova resistenza. Esisterà una differenza tra una metropoli americana ed una metropoli mediterranea, tra un vecchio villaggio cinese ed una nuova metropoli tecnologicamente avanzata del sud-est asiatico, reagiranno allo stesso modo? Dove s’incontrano queste differenze? In uno schermo di un tablet, o di uno sperduto e vecchio computer, oppure saranno in perfetta comunicazione collaborativa attraverso ologrammi la cui gestione e produzione, non sarà altro che il frutto delle nuove potenze legate a nuove forme di cittadinanza?
Ma andiamoci piano, siamo solo alle prime ingenue domande. Il viaggio è tortuoso e non avaro di imprevedibili sorprese, ecco la necessità di un “Atlante Immateriale”, uno strumento che possa permetterci di fotografare in questo determinato istante lo “stato delle cose”, una tendenziale indicazione, di contro la delega delle prossime decisioni a qualcosa che non appartiene più ai nostri storici limiti, quelli del nostro corpo e della nostra mente, conseguentemente avremo allora altri tipi di bellezza, di sofferenze, di gioia, di morte, altri tipi di “limiti”. Buona navigazione!!!