Martina Venditti è una psicologa, impegnata professionalmente nell’ASL NA1 , quindi sulla trincea più congeniale per descriverci cosa sia successo in questi ultimi due anni, lungo lo sviluppo e procedere del “tempo pandemico”. La incontriamo nel suo studio polispecialistico come psicologa, psicoterapeuta e neuropsicomotricista , in cui effettua consulenze psicologiche e psicoterapeutiche indirizzate a persone di tutte le età: bambini, adolescenti ed adulti.
Dottoressa come si svolge il suo lavoro? Che tipo di approccio utilizza con i suoi assistiti?
Come psicologa, innanzitutto nei confronti dei bambini, solitamente si utilizza il gioco come strumento di conoscenza. Si cerca di creare un clima di fiducia per entrare in relazione con loro. In questo modo si cerca di aiutarli nel loro processo di crescita, nel superare le paure, le difficoltà di ciascuno con la collaborazione dei genitori e delle proprie famiglie. In questo caso il nostro aiuto come psicologi si rivolge a tutti quei bambini che presentano specifiche difficoltà come: disturbi del comportamento, iperattività, difficoltà relazionali, disturbi del sonno, disturbi alimentari, paure, fobie, tic nervosi ed altre problematiche psicologiche tipiche dell’infanzia.
Questo per i bambini, mentre per gli adolescenti e gli adulti?
Con questi si utilizza il dialogo per entrare in relazione con loro e stabilire un clima di fiducia; per una prima forma di reciproca conoscenza ed una sostanziale collaborazione. Solo in questo modo è possibile far emergere le emozioni legate ai vissuti esperienziali di ciascuno, favorendo il superamento di blocchi emotivi, paure e difficoltà, che spesso provocano: disturbi d’ansia, attacchi di panico, depressione, disturbi alimentari, disturbi del sonno, fobie, paure, pensieri ossessivi ed altre problematiche psicologiche.
Ecco dal suo punto d’osservazione, quali differenze ha notato lungo il corso e sviluppo della pandemia del Covid19? Queste tipologie, bambini, adolescenti ed adulti, in che cosa hanno subito delle accelerazioni, delle ulteriori degenerazioni patologiche od addirittura l’emersione di nuovi disturbi mentali e fisici?
Di sicuro abbiamo avuto una ulteriore accelerazione, se non una più veloce degenerazione di disturbi che esistevano già prima della pandemia. Ad esempio basti pensare a tutta la gamma delle diverse sfumature d’ansia od attacchi di panico, dovuti all’incapacità diffusa nel non vedere punti di fuga, frutto di problematiche soggettive, sovrapposte a quelle più generali di carattere sociale. Possiamo dire che sono crollate quelle precarie difese, muri immaginari che permettevano di mantenere ancora in equilibrio sistemi e strutture psicologiche deboli, gestite prima della pandemia. Un crollo generale delle proprie identità, che per quanto potevano ancora resistere in un quadro precario, sui diversi piani soggettivi e collettivi, durante la pandemia hanno svelato la propria incapacità a fare i conti con questo tsunami, con azzeramento di visione sul proprio tempo esperienziale, in cui si sono sovrapposti un nuovo senso del passato, del presente e futuro.
Quindi una sorta di “Horror Vacui”, terrore del proprio vuoto esistenziale ed identitario?
Certo, quindi chi aveva già dei problemi ha dovuto sostenere ancor più il peso di questa novità ed in molti, anzi diremmo a scala di massa, tutto ciò ha provocato squilibri relazionali, caratteriali e psicologici di cui iniziamo solo ora a vederne le conseguenze.
Quindi allo stato quali possono essere le azioni virtuose per arginare o ribaltare questo fenomeno?
La risposta non può essere che complessa ed articolata in differenti pratiche, legata ad una ricostruzione del proprio immaginario, di quella che viene chiamata “visione” personale e collettiva. Un passaggio faticoso e difficile, che richiede anche un certo grado di “sofferenza”, per il semplice fatto che bisogna lasciare alle spalle certezze e spazi-luoghi legati alle cosiddette “confort zone”, per abbracciare mari tempestosi e molto più impegnativi. Uno sfondamento culturale e per molti aspetti profondamente politico, in quanto bisogna rimettere in gioco la propria visione del concetto della propria “libertà”, dove sono i limiti della propria ed altrui sicurezza, mobilità, reciproca riconoscibilità culturale, geografica, ecc.
Quindi oltre ai luoghi classici della cura, per la malattia del “corpo” e della “mente”, come ospedali, laboratori, case di cura ecc. è opportuno inventare nuovi “luoghi”, nuovi “spazi”, una nuova “città” in cui il “tempo esperienziale” (tema centrale del nostro progetto Time Experience), reiventi completamente il senso delle relazioni tra corpi e spazi, tra esperienza e realtà vissuta.
Sì, è opportuno fare un lavoro analitico e progettuale interdisciplinare, perché ciò che è in gioco non è la malattia, per come l’abbiamo considerata sino ad ora, ma la malattia è la “città” stessa, il luogo entro cui si è sviluppata sino ad ora la nostra vita, per quanto brutta o bella sia stata la nostra esperienza, il nostro vissuto.
Allora come Time Experience, la invitiamo a farsi portavoce di questa nuova fase, almeno per le discipline che lei, insieme ad altri professionisti di settore, cercherete di sviluppare nella nostra città, con l’impegno di rendere visibile un nuovo senso del “corpo”, dello “spazio” e della “mente”, nel luogo in cui pratichiamo quotidianamente la nostra avventura di vita.
Certamente, con molto interesse e piacere, mio personale e quello dei miei colleghi.