11 APR 2022 TIME EXPERIENCE COMMERCIAL 

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A proposito di anni ‘70/’80: l’esperienza di Alberto Abruzzese a Napoli 

 

A proposito di anni ‘70/’80: l’esperienza di Alberto Abruzzese a Napoli (a cura di Mario Mangone)

Riportiamo questa riflessione nel nostro sito, dedicata agli anni ’70 ed ’80 a Napoli, una parzialissima parentesi, riconducibile al mio personale rapporto con il Prof. Alberto Abruzzese, docente e sofisticato ricercatore sui temi di Sociologia delle Comunicazioni di Massa nella nostra Università di Napoli. La sua presenza qui a Napoli è da collegare in particolar modo all’effervescenza politica e culturale della fine degli anni ’70 e dell’intero decennio degli anni ’80 nella nostra città. Una lunga schiera di giovani “cultori della materia” o studenti napoletani (fra cui il sottoscritto allora studente di architettura) devono molto alla sua ricerca, alla sua lucida passione verso l’attraversamento critico, disciplinare, culturale e politico sui temi inerenti le caratteristiche delle forme post-metropolitane di sviluppo delle aree urbane. Dal suo affascinante bagaglio teorico ho lungamente carpito teorie ed intuizioni inserite poi nella mia tesi di laurea:

“Perché qui siamo a Broadway dove l’alba l’accende un elettricista/Napoli-Progetto di sperimentazione per una metropoli”– Aprile 1984.

Tesi di laurea condivisa dal Prof. Italo Ferraro ed il Prof. Alberto Abruzzese. Esperienza insolita per il consolidato conservatorismo disciplinare di stampo progressista presente nella nostra facoltà di architettura e per la cui esperienza ringrazio ancora adesso pubblicamente Alberto Abruzzese, in particolar modo per la sua grande disponibilità, nonché per la sua preziosa presenza (nonostante i suoi gravosi impegni di docente nel corso di Sociologia) nella mattinata destinata alla seduta di presentazione delle tesi di laurea e di cui ho vivo il ricordo, nonché la registrazione fotografica. Dico ciò non per rinvangare nostalgiche emozioni del “bel tempo che fu”, ma per sottolineare della scarsa capacità accademica, politica e culturale nella nostra città nel rendere produttivi i frutti di un lavoro di ricerca non a pieno utilizzati. Infatti da quella tesi sono poi riuscito solo, dietro la mia sollecitazione alla Prof.ssa Adriana Baculo, a permettere la promozione e pubblicazione di un articolato prodotto editoriale a più mani, con Liguori Editore sulle grandi esposizioni universali nel mondo ed in Italia. Ma oltre questo primo ed unico qualificato obiettivo, ci siamo trovati di fronte alla sordità istituzionale, politica ed aggiungo baronale, nell’affrontare, attraverso la nostra disciplina quella specifica dell’architettura, le conseguenze dei ragionamenti sviluppati con il Prof. Alberto Abruzzese. Mi rendo conto di essere una voce di fatto impotente all’interno del progetto di desertificazione processuale, attuato in particolar modo negli ultimi decenni, con cui politici progressisti, assessori, presidi e professori architetti, ordini professionali hanno condotto l’architettura a Napoli: uno storico ed imbarazzante vuoto a cui nessuno sa dare più voce, se non qualche flebile, impotente ed a volte provinciale se non ambiguo grido di allarme.

La nostra città, nei primi anni ’80 era su una trincea avanzata della ricerca urbana in Italia, ora addirittura siamo arrivati a gioire per qualche impotente progetto pubblicato su qualche quotidiano locale ed a paventare la possibile presenza nella nostra città di presenze di “architetti trentenni geniali” a cui non viene data possibilità di operare, paradossalmente avallati e sostenuti dai veri fautori delle desertificazione dell’architettura moderna a Napoli e di processi avanzati di sviluppo dell’area metropolitana di Napoli, balbettiamo solo progetti che nascono vecchi prima di essere messi in pratica

Ritengo un suicidio politico e culturale non aver dato ascolto anche a quelle tesi, per questo motivo ritengo utile archiviare compatibilmente alle nostre possibilità e mezzi una veloce e parziale raccolta di contributi del Prof. Alberto Abruzzese (distribuiti nelle varie sezioni di questo sito), legati al tema ed alle proposte sullo sviluppo urbano di Napoli negli anni ’80.

Sono temi e progetti ancora vivi e moderni, per niente impotenti, ma siamo anche consapevoli che purtroppo gli attuali nostri interlocutori viaggiano verso la già lucida previsione fata da A. Abruzzese in Napoli/No New York nel 1982:

“…Pare, infatti, che l’ordinamento politico allora vigente giungesse a tale punto di incapacità governativa, a tale scellerata ignoranza e insensibilità, a tale preordinato spreco di ogni risorsa da dovere decretare la sua Fine. Del resto i sistemi circonvicini — tra l’altro più ricchi e più grandi —premevano da ormai troppo tempo, anche sul sistema di città a cui apparteneva Napoli, per realizzare Fasi Sperimentali. Così fu deciso l’annientamento atomico dell’intero sistema nazionale e la collocazione in “provetta territoriale” di una sola città superstite. Napoli apparve a tutti o quasi la più adatta.

Le ragioni di questa scelta erano molte (ed alcune traspaiono anche in queste scritture d’epoca): una città che aveva dimostrato di sopravvivere a tutto, città assurda ma pulsante “mescolanza” tra sviluppo e sottosviluppo, fortemente compressa e accorpata, allo stesso tempo dialettale e internazionale, povera al limite massimo della morte ma anche con zone o livelli di estrema ricchezza. In effetti quel sistema, morendo, fu intelligente nello scegliere Napoli come alveolo di un nuovo sistema: prevalsero fortunatamente e anche un poco fortunosamente certi indirizzi di biogenetica che individuavano il massimo di produttività organica non più nelle parti sane del corpo ma nelle zone patologiche soprattutto nella straordinaria effervescenza dei processi di cancrena, nelle contaminazioni infettive, nelle agglomerazioni cancerogene, nell’espansività erpetica.

Dunque, in un’alba di cui non sappiamo bene la collocazione temporale e di cui ci sfugge lo scenario da quando per noi si è persa memoria visiva dell’alternanza tra giorno e notte, tutti i territori che circondavano Napoli furono polverizzati: la città restò isolata dal resto del pianeta con il compito di sperimentare il germe di una nuova civiltà.

Di questa nuova dimensione della città napoletana possediamo alcune informazioni ma solo sino ad un certo punto della sua evoluzione; poi manchiamo di ogni dato credibile e la sua immagine resta per noi avvolta nel buio più integrale.

La città riportò al proprio interno, nelle proprie modalità espressive (fondate sull’eccesso del cuore e della ragione) il sistema che, autodistruggendosi, le aveva assegnato il suo significato. Napoli raccolse e miscelò immagini e pratiche di quella unità nazionale che le aveva affidato il futuro. Ebbe così arricchito il quadro delle lotte tra sette, più violento il fenomeno di obsolescenza dello stato e della politica, più globale e armonico il pro-cesso di commistione tra sviluppo e catastrofe. Finalmente liberata da un sistema nazionale, che l’aveva sempre intesa come territorio da sanare, riusciva a usare il proprio egoismo, la propria atavica malattia, le sue sottili arti della corruzione, la sua conflittualità tra ricchezza e povertà. la sua oscenità, l’amalgama ibrido delle sue passioni, la creatività del suo sottosviluppo, per “bonificare” il proprio corpo contravvenendo ancora una volta ad ogni ridicola presunzione di razionalità. Corpo informe e sanguinoso ma finalmente legittimato dall’essere il solo ad esistere e ad essersi affermato come tale, nel tempo e nello spazio…”.